Il rosso e il nero a casa della Lega. Sono stati loro, Fausto Bertinotti e Gianfranco Fini, intervistati dal direttore di Libero, Mario Sechi, i protagonisti della prima giornata della scuola di formazione politica della Lega (organizzata da Armando Siri, ieri e oggi a Roma, a Palazzo Rospigliosi). E a dividerli, più che il modello sociale o economico, è la guerra. O meglio la risposta alla guerra.
Si parte dalla Costituzione. Per l’ex leader di Rifondazione comunista non è morta, ma «tradita sì». Spiega che «l’innovazione principale dell’attuale Costituzione», rispetto alle carte che l’avevano preceduta, è che ha creato una «connessione sentimentale con il popolo». E lo ha fatto su due punti: «L’equivalenza tra democrazia e uguaglianza» e l’articolo 11, quello secondo cui «l’Italia ripudia la guerra». Ma, visto il contesto in cui viviamo, è ancora valido?, chiede Sechi. Bertinotti non ha dubbi: sì. Anche se, aggiunge, «è stato manomesso negli ultimi 50 anni». Anche dalla sua parte politica. Ricorda la guerra del Golfo, governo Andreotti, quando l’Italia mandò, sotto l’egida dell’Onu, i suoi militari. Già allora, ricorda il fondatore di Rifondazione comunista, un gruppetto dell’allora Pds (Pietro Ingrao, Lucio Magri, Aldo Tortorella) votò contro. Mentre il resto del Pds si astenne. Dunque, dice, non c’è da stupirsi se anche ora la sinistra si divide sulla guerra.
«È sempre stato così». Si passa all’Europa. «Abbiamo pensato di fondarla sull’economia, abbiamo fallito. Peggio ancora se pensiamo di fondarla sulla guerra». Il fatto è che «siamo arrivati al capolinea di una lunga storia: alla fine del ‘900 c’è stata la sconfitta del movimento operaio» (...)
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