La bancarotta politica della sinistra è prima di tutto una questione di linguaggio. È nella corruzione del parlato e dello scritto che i compagni sono passati dalla rivoluzione proletaria alla liquidazione dei sessi; la lunga marcia della fantasia al potere è finita con la compagnia dell’asterisco in crociera a Ventotene.
Quelli che fanno finta di aver letto i libri di Francesco Alberoni dicono che la sinistra «ha smarrito la sua relazione sentimentale con l’elettorato», ma qui il problema è terra terra: sono fulminati dalla Storia. La loro vera natura è un dizionario dell’ipocrisia: sono democratici e detestano il popolo; usano le posate a tavola, ma sputano sul piatto dove mangiano; girano con l’auto elettrica, ma ora hanno un problema ideologico con la Tesla; vivono in un pantheon di santi mai venerati e manifesti mai letti; traducono l’inglese manipolandolo, così la parola deportation viene tradotta in «deportazione» e non in «espulsione».
Il maquillage del linguaggio è il vero nemico della democrazia. Quando Walter Veltroni sul Corriere della Sera fa il tetro ritratto del «nazionalismo populista», incastona la destra italiana in uno scenario tenebroso dove «la democrazia e l’Europa» sono «le vere vittime sacrificali di questa stagione».
C’è qualcosa di affascinante nell’ossessione della sinistra, nel suo linguaggio auto -ipnotico, perché lo stesso giorno in cui Veltroni si inabissa nei suoi incubi, la Revue des deux mondes, la prestigiosa rivista fondata a Parigi nel 1829, dedica la copertina a Giorgia Meloni, indicata come un esempio da seguire per la destra francese in crisi di identità. Voilà, la dittatura.