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Avvenire, il Manifesto di Ventotene paragonato al Vangelo (e "Meloni arrogante")

di Fausto Carioti venerdì 21 marzo 2025
Avvenire, il Manifesto di Ventotene paragonato al Vangelo (e "Meloni arrogante")

3' di lettura

Fino a che punto è disposta ad arrivare certa Chiesa per mostrarsi moderna, e dunque gradita al suo avversario di un tempo lontano, la sinistra italiana? Al punto da rendersi biodegradabile e compostabile, capace di sciogliersi nei luoghi comuni progressisti senza lasciar traccia di sé, ci hanno mostrato ieri due articoli, uno di Avvenire, il quotidiano dei vescovi, già agiografo di san Michele Serra e della sua manifestazione, e l’altro di Famiglia Cristiana, il settimanale dei paolini.

Si parla del Manifesto di Ventotene, ovviamente. Secondo il quotidiano della Conferenza presieduta da Matteo Zuppi, che dedica alla vicenda un commento firmato dal cattedratico Vittorio Pelligra, «l’operazione messa in atto dal presidente del consiglio sembra ispirata da un misto di arroganza, malafede e smaccata ignoranza». Sembra l’altro Manifesto, quello fondato da Lucio Magri e Rossana Rossanda, ma a stupire non è questo. È ciò che è scritto dopo: «Citare, come ha fatto Giorgia Meloni, il Manifesto di Ventotene in quella maniera è come citare il Vangelo dove leggiamo, tra le altre cose, “Non pensate che io sia venuto a mettere pace sulla terra; non sono venuto a metter pace, ma spada” (Mt 10,34) e concludere che Gesù è un estremista guerrafondaio». Quindi si ricorda uno scritto successivo in cui Altiero Spinelli evidenziava alcuni «errori politici» del Manifesto suo e di Ernesto Rossi.

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«Il primo era l’ottimismo di tutti coloro che lanciando una nuova idea credono sempre che essa sia di imminente realizzazione. Poiché però questo errore si ritrova dal Vangelo che credeva di essere impostato tutto sull’idea dell’imminente fine del mondo, al Manifesto del partito comunista che credeva di essere fondato anch’esso tutto sull’imminente rivoluzione socialista, si può considerare veniale l’errore identico del Manifesto federalista». Il filo conduttore, insomma, è la pretesa di mettere il Vangelo e il testo di Ventotene sullo stesso piano. Che è normale per il non credente Spinelli, ma non per il giornale dei vescovi.

La conclusione del commentatore di Avvenire è che «il Manifesto di Ventotene fa chiedere a chi governa per cosa usi il suo potere. Personalmente, mi auguro che prima o poi Meloni si scusi per aver provato a disonorare la memoria di quei grandi uomini». Stesso fervore esegetico mostrato da Famiglia Cristiana. Sul proprio sito, elogia il Manifesto come «punto di riferimento» per chi «crede in un’Europa unita, solidale e democratica», ma ha almeno l’accortezza di avvertire che esso va maneggiato con cura, «perché risente, con la sua visione utopistica, delle spinte idealistiche e totalitarie dell’epoca». Ad esempio, spiega il settimanale, «non risente della tradizione e della visione cristiana dell’Europa» ed è «totalmente impermeabile al cattolicesimo e alla dottrina sociale della Chiesa». Che è comunque una pietosa bugia.

Il testo scritto sull’isola nel 1941 non è impermeabile alla Chiesa e al suo insegnamento, ma orgogliosamente ostile ad essi. Non solo esclude ogni presenza di Dio nel mondo e propone il socialismo come unica salvezza, ma indica la stessa Chiesa cattolica come «naturale alleata di tutti i regimi reazionari, di cui cerca approfittare per ottenere esenzioni e privilegi, per ricostruire il suo patrimonio, per stendere di nuovo i suoi tentacoli sulla scuola e sull’ordinamento della famiglia».

Nell’elenco dei nemici da abbattere ci sono «le alte gerarchie ecclesiastiche», forze reazionarie «che solo da una stabile società conservatrice possono vedere assicurate le loro entrate parassitarie». L’auspicato «crollo», scrivevano Spinelli e Rossi, «le priverebbe di colpo di tutte le garanzie che hanno avuto finora, e le esporrebbe all’assalto delle forze progressiste». Per il Vaticano proponevano l’abolizione del concordato, «per affermare il carattere puramente laico dello Stato, e per fissare in modo inequivocabile la supremazia dello Stato sulla vita civile».

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Passaggi dei quali Famiglia Cristiana fa una sintesi molto compiacente, e che Avvenire ignora del tutto, per non togliere spazio alla parte lirica. E questo si spiega solo con la sudditanza raccontata da Joseph Ratzinger, quando ricordava ciò che aveva imparato nelle assemblee studentesche marxiste alla facoltà evangelica di teologia di Tubinga nel 1969: «Seppi allora quale era la posta in gioco: chi voleva restare progressista doveva rinunciare alla sua identità». Cosa che a tanti cattolici è sempre risultata facile.

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A.V.