
Una opposizione ferma al 1941

L’uso politico della storia da parte della sinistra durante questa legislatura è sistematico: sono partiti con lo spettro del fascismo, hanno evocato i totalitarismi del ’900, fino ad utilizzare un testo scritto nel 1941, il Manifesto di Ventotene, per sostenere che la destra italiana è affetta da nazionalismo acuto e dunque impresentabile in Europa.
Quando Giorgia Meloni in Parlamento ha citato alcuni passaggi di quel documento, l’opposizione ha svelato di essere vittima di una psicosi che le impedisce di guardare lucidamente alla realtà. Ispirarsi al manifesto scritto da Spinelli, Rossi e Colorni oggi è impossibile, ma per la sinistra senza spazio e tempo, il passaggio fatto in aula dal presidente del Consiglio diventa una provocazione che fa perdere loro ogni controllo emotivo. È la dimostrazione dell’inattualità della sinistra italiana, anticapitalista, antiamericana, antioccidentale.
Ecco quindi che i contenuti del Manifesto diventano validi per sempre, laddove sono una importante testimonianza della storia politica, crollato il comunismo, sepolti dalle macerie del Muro di Berlino, espulsi dalla Storia, i compagni si sono mascherati con altri -ismi: l’ecologismo e l’europeismo, il primo è diventato il braccio della pianificazione economica; il secondo la sovrastruttura ideologica con la quale giustificare un’architettura lontana dal metodo democratico (che infatti il Manifesto di Ventotene criticava aspramente, perché non utile alla rivoluzione). La sintesi è che quando si va al nocciolo delle idee della sinistra, sembra di stare in una scena del film “Good Bye, Lenin!”. Vivono nel capitalismo, ma fingono di abitare nel comunismo.
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