
Michele Serra, la sua è una democrazia senza voto popolare

Durante la reclusione del Covid quando tutti parlavano del virus con l’alfabeto della guerra, fuori dai balconi c’erano le bandiere dell’Italia. Oggi che la guerra c’è davvero e agli Stati nazionali viene richiesto di armarsi, Repubblica cancella il tricolore: nella sua piazza solo bandiere dell’Europa, della pace e dell’Ucraina. «Una piazza transnazionale» dice Michele Serra, ideatore della piazza voluta dal “transpartito” Repubblica, che titola presuntuosamente: l’Europa siamo noi. «Siamo cittadini europei» battezza don Michele formato Giovanni il Battista. Il Verbo: nessuna bandiera tranne quella dell’Europa; siamo cittadini europei; questa piazza nel segno del manifesto di Ventotene, una specie di Nuovo Testamento predicato dai Testimoni di Repubblica.
Ma chi glielo dice ai maestrini di democrazia che quel “noi” non ha mai avuto la possibilità di costruire l’Europa, di dire “Sì o No” agli Stati Uniti d’Europa come luogo sostitutivo degli Stati nazionali. Quel noi è un noi danzante, saltellante, manifestante; è un noi fedele alla Parola, anestetizzato perché le differenze interne non addolorino. È un noi di testimonianza ma non è un noi protagonista. È il noi degli innamoramenti estivi che finiscono quando gli ombrelloni si chiudono e ci si saluta con la frase di Michele Serra: «Non perdiamoci di vista». Altiero Spinelli, un signore che aveva aderito al partito comunista nel 1924 salvo esserne espulso nel 1937 per trozkismo. E qualcosa dev’essere restato se sul Manifesto è scritto: «Attraverso questa dittatura del partito rivoluzionario si forma il nuovo Stato (cioè gli Stati uniti d’Europa) e intorno adesso la nuova vera democrazia».
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Lo diceva bene pochi giorni fa Luca Ricolfi intervistato dalla Stampa: «Se i pacifisti avessero letto e studiato attentamente il Manifesto scoprirebbero che era un progetto profondamente anti-democratico, con una visione giacobina dei rapporti tra élite e popolo». Ma a che serve il popolo? Tanto il precedente Pan-Europa di Kalergi quanto il Manifesto di Spinelli, lo hanno escluso in partenza perché - come scrivono Spinelli e gli altri autori - durante la rivoluzione il popolo «non sa con precisione cosa volere e cosa fare (...) Con i suoi milioni di teste non riesce a orientarsi e si disgrega in una quantità di tendenze in lotta tra loro». In poche parole, meglio non coinvolgerlo: «La metodologia politica democratica sarà un peso morto nella crisi rivoluzionaria». Ecco come Lucio Caracciolo nel suo libro “La Pace è finita” commenta la visione di Spinelli: «C’è molto Lenin in questo verdetto». E infatti ecco un’altra perla del testo spinelliano: «Attraverso questa dittatura del partito rivoluzionario si forma il nuovo Stato e intorno adesso la nuova vera democrazia». Riprendiamo Caracciolo: «Stando al precetto del manifesto il popolo non è capace di imboccare la direzione giusta, ha bisogno dell’avanguardia rivoluzionaria che gliela indichi e ve lo conduca. Compito immediato e formare il partito rivoluzionario, volto a educare la causa europea anzitutto operai e intellettuali».
Altro che Bentivoglio che legge Pericle: se avessero letto l’idea di fondo del Manifesto, la piazza avrebbe fischiato. Dunque che fare? Raccontare Spinelli attraverso il mito. Meglio accompagnare il popolo - il Noi - verso la terra promessa: gli Stati Uniti d’Europa; ma senza chiedere al popolo se lo vogliono oppure no. Esattamente quel che hanno fatto gli “euromanipolatori” Serra, Mauro, Augias e gli altri, con Repubblica forcipe dell’europeismo spinelliano. Un popolo libero di scegliere potrebbe votare altro: meglio limitarsi a infilarlo in una piazza, dargli un sacerdote celebrante, un coro di artisti e una liturgia ipnotizzante. Ed ecco fatti i cittadini europei.
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