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Isolato in Europa, lontano dal Colle: così muore il Pd

Fausto Carioti
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Si può stare all’opposizione nel proprio Paese e rimanere vivi: in democrazia, prima o poi, capita a tutti i partiti di dover fare la traversata nel deserto, e la gran parte sopravvive. Non si resta invece vivi a lungo se si diventa irrilevanti, a maggior ragione se si è un partito concepito per tenere in mano le leve del potere, come il Pd. La cui ragione sociale, perso da decenni il rapporto con le masse popolari, consiste nell’avere un alto peso specifico nelle istituzioni, in modo da gestire un potere che vada al di là dei voti ottenuti. Il Pd è nato e cresciuto come partito dei Palazzi, prima ancora che della Ztl. E questo peso, sinora, i democratici lo hanno avuto, grazie al loro identificarsi con l’Unione europea e con il Quirinale di Giorgio Napolitano e di Sergio Mattarella (diversi per cultura politica e carattere, ma ambedue provenienti dalle sue file e di provata fede atlantista).

Per decenni, questo duplice ancoraggio è stato il punto di forza del Pd. Ora Elly Schlein ha deciso di tagliare gli ormeggi. Il partito è adesso un’entità politica alla deriva, che si allontana dai suoi punti di riferimento storici in nome di una vocazione movimentista inconciliabile con quella di partito dei Palazzi. Ha iniziato lasciando che l’interesse nazionale in politica estera, in questo momento difficilissimo, fosse difeso dall’asse tra Mattarella e Giorgia Meloni, sperando così di poter lucrare consensi tra gli elettori pacifisti e anti-occidentali, a scapito di Giuseppe Conte. Ed è arrivata a chiedere ai suoi, unica leader tra i Socialisti europei, di non votare la risoluzione Ue sul piano per aumentare le spese militari, come invece impongono la situazione ai confini orientali della Nato e la decisione degli Stati Uniti di non pagare più per la difesa di noialtri.

 

Scelte che stanno avendo due conseguenze. La prima, esterna, è l’uscita del Pd dalla maggioranza che guida la Ue e dal primo gruppo della sinistra europea, che resta ben inserito in quella maggioranza. La seconda, interna, è la rivolta dei “padri fondatori” (Gentiloni, Prodi, Fassino, Veltroni) e dei tanti consapevoli che senza rapporto col Quirinale e con l’Europa non ci sia futuro. Una rivolta contro Schlein e gli “stranieri” da lei portati nel partito (i Ruotolo, le Strada, i Tarquinio) è anche il senso del voto espresso ieri dalla delegazione del Pd nel parlamento di Strasburgo. La risoluzione contestata da Schlein ha ottenuto l’astensione di undici piddini e il voto favorevole di altri dieci: i primi allineati alla segretaria, i secondi in aperta ribellione. Lei stessa ne aveva fatto una questione di fiducia politica.

Martedì aveva chiamato a rapporto gli eurodeputati “riformisti”, quelli che come punti di riferimento hanno Paolo Gentiloni e Lorenzo Guerini (e dunque, in definitiva, Mattarella), chiedendo loro di astenersi. Che era già una concessione fatta da Schlein per tenere insieme il partito: inizialmente voleva schierare la pattuglia dei suoi ventuno eletti sul «no». Appello e concessione si sono rivelati inutili: dalla votazione più importante di questa legislatura europea il Pd è uscito spaccato come una mela. E non è passato inosservato, a Roma e Strasburgo, il silenzio di Schlein sugli insulti rivolti a una di quei ribelli, Pina Picierno, dal propagandista russo Vladimir Soloviev: l’eurodeputata piddina ha avuto la solidarietà pubblica di Ignazio La Russa e non quella della segretaria del Pd. Ferite che lasciano il segno.

La risoluzione è passata con il voto favorevole di 419 eurodeputati, inclusa la grandissima parte dei Socialisti, dove quasi tutti i 140 europarlamentari hanno detto «sì» e gli italiani sono stati la vistosa eccezione. Se la spaccatura del Pd certifica la debolezza di Schlein e la sua incapacità di rappresentarlo, l’esito del voto segna l’uscita dei democratici italiani – o dell’ala schierata con la segretaria – dal perimetro dei partiti che governano l’Europa e lo scollamento dalla grande famiglia dei Socialisti Ue. Il risultato è la perdita di ogni peso politico, l’irrilevanza: il prezzo che paga una leader che prende una scelta sbagliata, ultraminoritaria, e nemmeno riesce a imporla ai suoi. Ma senza peso politico non c’è potere, e fuori dal giro che gestisce il potere non esiste un domani per il Pd: è il messaggio inviato a Schlein da un partito che non è mai stato davvero suo, e da ieri lo è ancora meno.

 

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