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Elly Schlein, il "no" alle armi innesca la rivolta social del Pd: segretaria all'angolo

Pietro Senaldi
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Questa volta l’hanno vista arrivare; e hanno pensato che fosse atterrato un alieno. La missione a Bruxelles di Elly Schlein, al vertice del Partito Socialista Europeo sul ReArm, il piano di sicurezza di Ursula Von der Leyen, è stata un disastro. La leader dem si è ritrovata isolata due volte, tra gli europarlamentari progressisti delle altre nazioni e anche tra i dem nostrani, malgrado il goffo tentativo di alcuni esponenti del Pd di nasconderlo con dichiarazioni lunari.

«Noi crediamo serva una difesa comune e davvero europea, non il riarmo e l’aiuto al riarmo dei singoli Stati nazionali senza che questo produca automaticamente progetti fatti insieme da più Paesi europei e interoperabilità e coordinamento dei sistemi di difesa» ha detto la segretaria all’assemblea. Quando si tratta del letterale di Schlein, serve sempre una traduzione. Nella forma, la leader dem ha bocciato il progetto di Ursula perché sarebbe troppo poco comunitario, lasciando in un primo momento ai singoli membri Ue la responsabilità di provvedere alla propria sicurezza. Nella sostanza, la segretaria è intimamente contraria a spese per la difesa, che magari potrebbero comportare tagli in altri settori. Elly ha un’anima pacifista, vagamente grillina, comunque in politica estera più vicina alle sensibilità di Nicola Fratoianni e di Cecilia Strada piuttosto che della maggioranza dei dirigenti, e degli elettori, del Pd.

 

 

 

Il risultato è che il Pse pare il Pd: Schlein è riuscita a esportare in Europa le divisioni - ideologiche, di gruppi di potere e di schieramento internazionale che sono da sempre il cancro che divora i progressisti nostrani. Con l’aggravante che, siccome Elly, per toglierseli dai piedi a Roma, ha spedito a Bruxelles i dirigenti dem più distanti dalla sua linea, ma anche tra i più autorevoli, i colleghi europarlamentari socialisti non stanno capendo nulla delle intenzioni della delegazione italiana. Il tweet della povera Pina Picierno, vicepresidente del Parlamento Europeo in quota Pse-Pd rende l’idea del disagio progressista nella Ue: «La linea del Pse è che il ReArm è un atto iniziale importante per la crazione di una difesa comune europea. Non c’è nessuna rincorsa bellicista, nessuna distruzione del welfare ma solo la necessità di rendere più sicure le nostre democrazie», scrive l’ex esponente della Margherita, della quale è forse sempre più nostalgica. Identico concetto lo esprime un altro europarlamentare della Schlein, Giorgio Gori: «In un mutato e minaccioso quadro internazionale, il piano Ue per la difesa è per il Pse un passo per assicurare la sicurezza dei nostri cittadini».

Due sconfessioni totali della segretaria, a chiudere una settimana bruxellese che per il Pd è stata drammatica, iniziata con le autosospensioni delle onorevoli Elisabetta Gualmini e Alessandra Moretti, dopo che la Procura belga ne aveva chiesto la sospensione dell’immunità parlamentare per vicende legate allo scandalo del Qatargate. Prima lo choc dei pm, poi quello della visita della leader: ieri nei palazzi dell’Unione i politici dem giravano tutti con la testa bassa. Ma non si tratta solo di un problema di posizionamento politico interno. Il fattore della sinistra nostrana sta pesando sui lavori della Commissione.

 

 

 

Von der Leyen non si fida dei progressisti italiani, tantomeno dei Verdi e di quelli di Nicola Fratoianni, rappresentati nella Ue da personaggi come Ilaria Salis o Domenico Lucano. Teme che, se sottoponesse al voto dell’Europarlamento il suo ReArm- nome decisamente infelice, ma nel battezzarlo così anziché con concetti che evocassero i concetti di difesa e sicurezza deve aver prevalso l’antico istinto teutonico di Ursula - le si sbriciolerebbe la maggioranza. Per questo, con il pretesto dell’urgenza dettata dalla guerra, che però c’è da tre anni, la presidente ha deciso di non far votare il suo piano dall’assemblea, ma di ripiegare su una risoluzione, da adottare a larga maggioranza giovedì prossimo, che dia una copertura politica a Re-Arm.

Chi dovrà fare un lavoraccio in questi giorni è il capo delegazione dem a Bruxelles, Nicola Zingaretti, lo stesso che un anno fa fu incastrato da un fuori onda nel quale si era lasciato scappare che «avanti conquesta segretaria, non prenderemo neppure il 17%». È lui che dovrà convincere Elly a dare il via libera alla risoluzione, persuadendola che i piccoli cambiamenti che saranno apposti alla bozza del piano di Ursula siano sufficienti a giustificare un ribaltamento di linea. La leva potrebbe essere far togliere a Ursula i fondi di coesione, destinati alle aree europee con minore sviluppo, tra le quali il Sud Italia, dal contenitore al quale la Ue attingerà per finanziare ReArm. È un po’ poco, ma l’alternativa è un Pd che si spacca in Europa.

 

 

 

Ma i dem sono molto agitati a causa della posizione della segretaria anche in Italia. E non solo perché l’ex premier ed ex commissario Ue, Paolo Gentiloni, tutt’ora ritenuto il guru del partito per l’Europa, ha contestato duramente la leader. In realtà anche chi, come Dario Franceschini, altra eminenza progressista, è sembrato correre in soccorso di Elly, rilanciando la manifestazione di sabato prossimo a Roma per l’Europa, lo ha fatto per tenere insieme la baracca più che per convinzione. L’obiettivo di tutti ormai è evitare che l’appuntamento si riveli un boomerang, con il Pd in piazza per la Ue pur avendo posizioni contrarie a essa o, peggio, con solo metà partito che aderisce e fa il grande regalo al centrodestra di dare al Paese l’immagine di un partito diviso sulla politica internazionale. Elly a Bruxelles come Volodymyr Zelenski alla Casa Bianca: ha sbagliato tutto, senza neppure avere l’attenuante di un Donald Trump dai toni bruschi. E ora tocca ai suoi rimediare per rimetterla in partita.

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