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Sinistra italiana senza pace: vuole combattere Putin senza armi

Francesco Storace
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Ci vorrebbe Giovannino Guareschi. È suonata l’ora del mitico contr’ordine compagni e il campo largo sulla guerra in Ucraina è peggio di un campo minato. Si azzuffano tra di loro e i guantoni si agitano anche contro Ursula von der Leyen: forse il 15 marzo quella piazza strombazzata pro Kiev diventerà impraticabile. Ci si ritroveranno Calenda, Renzi e qualche altro assieme ai sindaci “convocati” da Michele Serra. Ma le voci di prima del raduno già risuonano altissime, sguaiate, la pace non c’è nemmeno tra gli “alleati”.

Non appena la presidente della Commissione europea ha accennato a quegli ottocento miliardi per la difesa, Elly Schlein ha indossato l’eskimo: «Il piano von der Leyen, a partire dal titolo, punta sul riarmo e non emerge un indirizzo politico chiaro verso la difesa comune. Indica una serie di strumenti che agevolerebbero la spesa nazionale ma senza porre condizioni sui progetti comuni, sull’interoperabilità dei sistemi». Bocciato, kaputt. Il drone della leader del Pd ha abbattuto l’offensiva da Bruxelles.

 

 

 

Altro che “stare con l’Europa” a proposito di Ucraina. La sventagliata di parole contro Trump dei giorni scorsi, fa a cazzotti con una realtà drammatica proprio per la sinistra. Emergono le solite divisioni incancellabili. L’annuncio di Ursula ha stramazzato l’opposizione al suolo. Fuga di massa dalle postazioni prima occupate, si sono già scordati le intimazioni alla premier a decidere da che parte stare tra Usa, Europa, Russia ed Ucraina. Ma l’emicrania colpisce le loro teste. Al Nazareno la confusione è diventata enorme. Le danze, ieri mattina, sono state aperte da Andrea Orlando, oggi consigliere regionale e in passato è stato uno dei leader nazionali del Pd: «Nelle parole di Von der Leyen non solo non c’è l’Europa che vorremmo ma neppure qualcosa che assomigli ad un sistema di difesa comune».

Sull’altro fronte, invece, Pina Picierno, vicepresidente dem del Parlamento europeo ha lanciato un appello in 5 punti «per un’Europa libera e forte, che sappia difendersi, che sia competitiva e tuteli la democrazia partendo dall’Ucraina», che prevede anche la difesa comune, compreso lo scorporo delle spese militari dal Patto di Stabilità. Diciamo che non riescono nemmeno nelle convergenze parallele di un tempo. Ma non mancano quelli che dicono sì alla Picierno, mettendo ancora più in difficoltà la povera Schlein. Da Calenda a Benedetto della Vedova di +Europa fino ai coraggiosissimi parlamentari Pd pronti ad imbracciare il fucile per Zelensky (non tantissimi per la verità).

 

 

 

Manco a parlarne dalle parti dell’estrema sinistra. Tra Fratoianni e compagni il niet è netto. Come per il partito di Conte, che alla manifestazione del 15 non ci sarà affatto. I pentastellati parlano di «bellicismo» e presumibilmente la piazza che invece loro hanno convocato per il 5 aprile non sarà certo amichevole verso chi sottoscrive l’appello della Picierno. Durissimo Fratoianni: «Ursula Von der Leyen è inadeguata e pericolosa» e per Angelo Bonelli la presidente Ue trascina «completamente l’Europa in un’economia di guerra».

Finora se l’erano presa col governo italiano. Poi ci pensano e trovano la mitica “unità”, esclusivamente sulla solita richiesta ciclostilata: Meloni «venga in Parlamento prima del Consiglio europeo di giovedì». Cioè entro domani. «Ci deve dire – tuonano – quale posizione dell’Italia porterà al vertice europeo». E se la premier rispondesse “la vostra”, come farebbero a capire che succede? Anche perché a sinistra giocano pure sulle posizioni nella maggioranza, dove però c’è quella che prevale su tutte, ed è la più ragionevole di tutte: non separare l’Occidente. Lo ha detto la Meloni, lo hanno ripetuto sia Salvini che Tajani. In agenda non c’è neppure il supposto asse franco-inglese sull’invio delle truppe Ue in Ucraina.

Occorrerà invece lavorare alla ricomposizione degli strappi delle ultime settimane, ma certo è difficile che a dettare la linea possa pretendere di esserlo chi si assesta un giorno sulla strada della guerra e quello successivo rifila botte da orbi alla sua presidente Ue preferita. La Meloni andrà in Parlamento non appena la situazione internazionale sarà più chiara. E per la Schlein ci sarà più tempo per separare i contendenti di casa sua...

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