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Conte, la faccia tosta dei fan che straparlano di conti pubblici dopo i buchi del Superbonus

Giovanni Sallusti
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Ieri Il Fatto Quotidiano ha messo in pagina qualcosa che non era un pezzo, era un quadro di Duchamp, un fotogramma di Buñuel, un capolavoro nel suo genere, a metà tra il surrealismo e il Dada. Tesi di fondo: i recenti dati economici positivi non stanno in capo al governo in carica (da due anni e mezzo, peraltro), ma sono tutto merito del governo precedente e di quella geniale intuizione macro -economica nota come Superbonus. Il quale non solo non ha generato il buco nero nei conti registrato da qualunque statistica (l’aritmetica è un ferrovecchio per i colleghi, veri avanguardisti del mestiere), ma è all’origine di una dinamica virtuosa di cui il centrodestra coglie immeritatamente i frutti. Lo sappiamo, la tentazione è di allertare un’ambulanza nell’interesse in primis dei suddetti colleghi, ma vi chiediamo di seguire il (lisergico) ragionamento. Pronti, via: «A Palazzo Chigi possono tirare un sospiro di sollievo. Il Pil cresce dello 0,7% nel 2024».

Non solo: «La crescita nominale, cioè comprensiva dell’inflazione, si attesta a +2.9%». Ergo, «la dinamica del debito pubblico è tenuta sotto controllo». Un riconoscimento, direte voi ragionieri banalotti, della politica economica del governo improntata a un pragmatismo moderatamente sviluppista, in una contingenza internazionale tormentata. Macché, qui sta il genio, la sparigliata dadaista, il colpo di tacco funambolico dell’articolista: «L’aumento soltanto marginale del debito nei confronti del Pil nel 2024 evidenzia che l’effetto reale sulle finanze» del mitologico Superbonus, vero e proprio totem contian-travagliesco, «è stato molto più contenuto di quanto temuto». E, poiché se capovolgi la realtà devi andare fino in fondo, devi rinunciare ai freni inibitori e gettare il ridicolo addosso a chi rimane testardamente ancorato ad essa, a corredo del pezzo c’è l’immagine.

 

 

 

Nella fattispecie, i titoli di alcuni giornali, tra cui due di Libero, che riportavano la notizia, piuttosto che la narrazione di Rocco Casalino. «Il Superbonus sballa i conti», diceva questa testata, noiosa, retrò, così avvitata nei numeri e nei dati e così poco artistica. Eppure, visto che i numeri hanno ancora il vizio di raccontare la vita e l’economia reale, riportiamo quelli della Cgia di Mestre, non un fogliaccio reazionario. Oneri complessivi a carico dello Stato dovuti al Superbonus: 123 miliardi di euro (e il conteggio copre fino a settembre 2024). Pensate averli ora a disposizione, 123 miliardi, in un momento in cui si fanno i salti mortali per trovarne 3 da destinare all’emergenza bollette: non è stato (solo) un buco, è stato masochismo contabile, incoscienza politica, disallineamento morale col Paese. Un’enormità, che ancora una volta Il Fatto rovescia in un’enormità di segno opposto, perché quel che conta è abdicare del tutto al canone della verosimiglianza, parlare dichiaratamente da un altro mondo: «La crescita economica, innescata anche da misure come il Superbonus, non si è ancora esaurita».

È un virtuosistico ribaltamento del tavolo, per occultare la responsabilità politica dell’Avvocato del Popolo (spennato): la crescita avrebbe potuto essere assai migliore, senza il maxi-spreco pentastellato. Torniamo alla realtà, sempre la Cgia: questa montagna di denaro pubblico si è tradotta in ristrutturazioni che hanno coinvolto meno di 500mila edifici residenziali, pari al 4% del totale nazionale. Inoltre, l’operazione «sembrerebbe aver favorito maggiormente i proprietari di immobili con una buona/elevata capacità di reddito». In sostanza: “Superbonus” ha significato soprattutto rifacimento di seconde e terze case a spese dei contribuenti tutti. Un esproprio proletario al contrario, una confisca benestante. Conclusione che svela l’autentico modello politico di Travaglio & Co.: lo sceriffo di Nottingham. Il quale, peraltro, aveva anche il considerevole pregio delle manette facili.

 

 

 

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