
Quei due lati divergenti del presidente Cossiga

Chi ha avutola fortuna di conoscere e frequentare Francesco Cossiga non si stupirà del racconto fattone da Marco Follini in un capitolo del suo “Beneficio d’inventario” appena pubblicato dall’editore Neri Possa. Un capitolo che il mio amico Marco ha dedicato appunto a Cossiga cogliendo lo spunto dal ricordo di una telefonata natalizia nella quale l’ormai presidente emerito, cioè ex presidente della Repubblica, gli fece un po’ per inorgoglirlo - contando su una loro comunione di idee, sentimenti e umori - e un po’ per divertirsi all’idea di poterlo amichevolmente mettere in imbarazzo.
Cossiga rivelò in quell’occasione al democristianissimo Marco Follini - graduato già con i pantaloni corti, o quasi, capeggiando il movimento giovanile dello scudocrociato- che suo padre, scomparso da poco, era stato «uno dei capi di Gladio». Così si chiamava l’organizzazione segreta allestita in Italia, d’intesa con gli americani, per tenere il Paese preparato, al di là delle strutture militari ufficiali, ad una invasione sovietica. Un’organizzazione della quale l’ultratlantista Cossiga, informatone già quando gli era capitato di fare il sottosegretario al Ministero della Difesa, era fiero. A differenza di altri che ai vertici o sottovertici governativi e istituzionali finsero di non sapere, e non gradire, quando ne fu rivelata l’esistenza.
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Con la notizia del padre fra i “capi” di Gladio l’ormai ex presidente della Repubblica rivelò a Marco Follini un segreto ulteriore del già ex segreto ormai di quell’organizzazione giustificata dalle contingenze post-belliche, dovendosi prevedere anche la violazione degli accordi spartitori dell’Europa raggiunti a Yalta fra i vincitori della seconda guerra mondiale, La cosa - disse Cossiga a Follini, prima di fargli gli auguri di Natale- «forse non ti piacerà o forse magari sì». In un’intervista al Corriere della Sera Follini ha dato ieri l’impressione, a torto o a ragione, di una sorpresa scomoda. Ma leggendo il capitolo del suo libro pubblicato sulla Stampa, sempre di ieri, ho avuto un’impressione diversa. Quella di un figlio sorpreso sì delle notizie ricevute sul padre, ma senza disappunto, incredulità e quant’altro. Del resto, idee, frequentazioni e ambienti del padre di Follini non potevano limitarne la figura ad un giornalista scientifico con lunga e meritata carriera alla Rai. La sua appartenenza ai vertici di Gladio era compatibile con la sua storia personale.
«Il presidente- ha scritto Follini di Cossiga dopo averne raccontato la confidenza familiare - era sempre stato per me un piccolo mistero. Perennemente in bilico tra la solennità della sua carriera e la compiaciuta ma tragica complessità del suo carattere». Tragica come molte delle vicende da lui vissute nella sua attività politica, a cominciare dal sequestro e dalla lunga prigionia dell’amico e maestro Aldo Moro, ucciso dalle brigate rosse 55 giorni dopo l’agguato in via Fani tra il sangue della scorta che aveva fallito in quella rivelatasi come la sua ultima missione: il trasporto del presidente della Dc da casa alla Camera per la presentazione del secondo governo monocolore democristiano di Giulio Andreotti a maggioranza di cosiddetta “solidarietà nazionale”, comprensiva del partito comunista di Berlinguer.
Cossiga, ministro dell’Interno in quel periodo forse anche più misterioso della Repubblica, portato al Viminale dallo stesso Moro qualche anno prima, è stato descritto efficacemente da Follini nel suo libro come un uomo che «poteva essere inappuntabile come un cadetto asburgico o scherzoso come un fool shakesperiano». «Una parte di lui, quella che aveva lungamente determinato le sue fortune, era ufficiale, istituzionale, notabilare, pienamente aderente a tutti gli aulici codici del protocollo, alle volte anche con qualche enfasi di troppo....» ma poi incline a «evasioni» per arrivare «laddove nessuno avrebbe mai immaginato che si fosse potuto rintanare». A Cossiga sarebbe piaciuto – credo- riconoscersi in questa descrizione.
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