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Pd, l'intercettazione: cosa rivela il boss mafioso alla suocera, terremoto a sinistra
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C’è una intercettazione che imbarazza il Pd siciliano e non solo. È una frase allegata all’inchiesta “Mercurio” che, nei giorni scorsi, ha portato all’arresto di capi e gregari della mafia catanese in combutta con pezzi della politica locale. A parlare è il boss Salvatore Mendolia, genero del capoclan Pasquale Oliva. È in auto con la suocera, Vincenza. Le racconta di un (presunto) summit con due esponenti dem e un misterioso deputato regionale successivo alle amministrative del 2021.
«Una volta eravamo all’Api, disse che... Se qualcosa... A Raia, deputato regionale... del suo partito! E ad Angelo Villari, che è un di Catania», si legge nella trascrizione. Che prosegue: «Lo guardava Angelo Villari e gli disse: «Angelo - dice - stai vedendo a ’sto frate mio? Se non era per questo amico, «io... noi altri non contiamo niente al paese», ci disse. Davanti a me lo disse «io non ero neanche qua seduto».
Angelo Villari sarebbe l’ex segretario del Partito democratico (che ha smentito tuttavia di aver partecipato a incontri carbonari durante quella campagna elettorale), mentre il riferimento a Raia sarebbe da associare all’ex consigliera siciliana del Pd, Concetta Raia, in carica dal 2008 al 2017 (anche lei ha vigorosamente negato qualsiasi tipo di coinvolgimento, sottolineando inoltre di non essere più politicamente impegnata a quell’epoca) e attuale funzionaria della Cgil.
Il terzo partecipante sarebbe, invece, l’allora candidato sindaco del Nazareno, Nunzio Vitale, poi eletto, anche lui dipendente del sindacato di Maurizio Landini. Sarebbe stato proprio Vitale a riconoscere a Mendolia («frate mio») l’aiuto decisivo per vincere la competizione, che di sicuro sarebbe stata persa («noialtrinoncontiamonientealpaese...io non ero neanche qua seduto»).
È importante specificare che Villari e Raia non sono indagati e che devono essere considerati estranei a qualsiasi coinvolgimento nel procedimento penale, mentre Vitale è stato, invece, arrestato nel maxi-blitz e, appena 48 ore fa, ha deciso di dimettersi dalla carica con una lettera indirizzata al prefetto di Catania. Il riferimento al supposto incontro viene trattato in poche righe nella gigantesca ordinanza di custodia cautelare e interpretato in chiave positiva dal gip che, infatti, scrive che «Mendolia non avrebbe avuto motivo di millantare» un appuntamento inesistente. Ed è facile immaginare che il giudice si riferisca, in particolare, al ruolo e all’interesse di Vitale.
Il sindaco, già a un mese dall’affermazione elettorale, diventa infatti argomento di discussione tra il boss Mendolia e un imprenditore vicino alla cosca che chiede conto degli impegni presi dalla fascia tricolore. «Va bene, va... ci dobbiamo andare a sedere io, tu e Nunzio», lo rassicura il mammasantissima catanese.
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Il quale, secondo la ricostruzione dei pm antimafia, esercita un’influenza così forte nei confronti del politico da averlo costretto a una sorta di «sottomissione» nei suoi confronti. D’altronde, emerge sempre dalle carte giudiziarie, il boss Mendolia avrebbe minacciato di far cadere il primo cittadino se non fossero stati rispettati gli accordi con le ditte riconducibili alla famiglia mafiosa per la gestione degli appalti pubblici. E Vitale, che aveva stravinto le elezioni con una lista ribattezzata “Ramacca, costruiamo una bella storia”, un nome che oggi sembra una beffa rispetto alle contestazioni della Procura, era sicuramente a conoscenza del peso criminale di Mendolia tanto da accoglierlo in «casa propria», quand’era già al vertice dell’amministrazione comunale, per discutere insieme delle «spese legali» del capomafia Oliva, da poco finito in galera. Altro che bella storia.
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