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Pd, M5s e Avs si menano anche sulla guerra: un'alleanza sinistra

Pietro Senaldi
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La standing ovation con la quale il congresso dei conservatori, a Washington, ha accolto il discorso di Giorgia Meloni su Ucraina e rapporti tra Europa e Stati Uniti ha svelato perché la sinistra ha cercato ogni scusa pur di convincere la premier a non parlare, prendendo a pretesto il braccio teso esibito da Steve Bannon. L’opposizione per giorni ha raccontato di un governo imbarazzato dal braccio di ferro tra Donald Trump e Volodymyr Zelensky e dalle tensioni tra la Casa Bianca e Bruxelles.

Le parole di Meloni («non c’è Occidente senza l’abbraccio tra Ue e Usa» e «Ucraina aggredita brutalmente, non finirà come in Afghanistan»), applauditissime, hanno fatto capire che non solo l’Italia a guida centrodestra può svolgere un ruolo di ponte tra i due continenti, ma anche che questo è ciò che auspicano dall’altra parte dell’Oceano. Discorso opposto sarebbe se a Roma governassero Elly Schlein e i suoi fratelli coltelli. La politica estera della sinistra, per usare le parole con cui Winston Churchill descrisse la Russia, «è un rebus avvolto in un mistero che sta dentro a un enigma« o, più prosaicamente, è un gran bordello, un minestrone in cui ciascuno la pensa a modo suo e crede di poter essere ascoltato nel mondo.

 

 

 

La vicenda ucraina è paradigmatica. Ieri, alle manifestazioni di solidarietà per i tre anni dall’invasione russa, con i dem presenti, M5S e Avs brillavano per l’assenza. Nel frattempo il Pd accusa Trump di voler svendere Kiev a Mosca. Quando però, la scorsa settimana, il Parlamento ha votato la risoluzione della maggioranza per il rifinanziamento del sostegno all’Ucraina, il campo largo si è diviso in sei, con ciascun partito che ha presentato la propria proposta, in conflitto con gli altri, bocciando in tutto o in parte i suggerimenti degli alleati. M5S chiedeva l’interruzione immediata della fornitura di armi, Avs voleva il cessate il fuoco istantaneo, il Pd ha votato con la maggioranza, che ha ricambiato votando a sua volta una parte della mozione dem, come Italia Viva e Azione, che però si sono dissociati dalle premesse. Insomma, sulla guerra la sinistra nostrana è più divisa al suo interno di quanto non lo siano tra loro i 27 Stati dell’Unione.

Non meglio va su altri fronti. Schlein che fa del posizionamento dell’Italia nello scacchiere internazionale una sorta di questione personale. «Se fossimo al governo, non potremmo considerare Trump un alleato» ha dichiarato la leader dem, mostrandosi disposta a rompere con gli Usa solo perché non apprezza il loro presidente. Considerato che, se davvero calasse il gelo tra Roma e Washington, Francia e Germania ne approfitterebbero per stringere i rapporti con The Donald, è evidente che l’Italia correrebbe il rischio di essere isolata, nel mondo e in Euopa, se governassero i dem e non certo oggi, malgrado quello che andava dicendo la sinistra. D’altronde l’anti-atlantismo della segretaria dem non è una novità. Un anno fa, quando alla Casa Bianca c’era Joe Biden, il Pd si astenne dal rifinanziamento degli aiuti a Kiev anche a costo di spaccarsi,.

Certo Elly non può spingersi a riportare il più grande partito della sinistra su posizioni anti-Nato e pre svolta di Enrico Berlinguer, coperte ora da M5S e Avs, proprio ora che Zelensky è tornato a chiedere di entrare nell’Alleanza Atlantica, però la sua ambiguità resta e continua a dividere idem. La frattura è grande anche sull’aumento delle spese militari, chiesto dagli Usa agli alleati, con la segretaria che vorrebbe allungare i tempi per aumentare l’esborso fino al 2% del Pil e i riformisti dem che spingono invece per accorciarli e alzare la percentuale. Agli antipodi, a riguardo, le posizioni di Renzi e Calenda rispetto a quelle di Conte e Fratoianni.

 

 

 

Per ultima la questione di Gaza. La melassa sinistra qui sta più insieme che altrove, al netto delle posizioni filo-terroriste e pro Hamas di tutto ciò che sta a sinistra di Elly, che forse per questo tace sull’orrido spettacolo che si ripete a ogni liberazione degli ostaggi israeliani. L’opposizione si mantiene sulla linea dei due popoli e due Stati, che è anche quella della maggioranza di governo. Solo che, mentre il centrodestra è consapevole dell’impraticabilità attuale dell’opzione, Pd e compagni sono convinti che basterebbe mettere in carcere Bibi Netanyahu ed ebrei e palestinesi troverebbero un accordo. Alla fine, a dettare la linea ci pensa Nicola Fratoianni, invocando la patrimoniale come soluzione di tutti i mali. È rovinosa, ma è la sola idea che può tenere insieme la sinistra.

 

 

 

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