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Sinistra insofferente alle idee altrui: è una guerricciola civile strisciante

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Daniele Capezzone
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No, lo studio della Bocconi non può davvero coglierci di sorpresa. In fondo perfino i più tolleranti fra noi, i più disposti al sorriso e alla comprensione, negli ultimi anni si sono ritrovati a mormorare a se stessi, entrando in casa d’altri per una cena: «Stasera è meglio non parlare di politica interna, odi Trump, o di Covid». Ho fatto tre esempi a caso: la scomoda verità- che tutti conosciamo- è che il rischio di litigare per una banale differenza di opinioni è diventato troppo alto. Moltissimi fra noi (anche chi lo nega...) sono divenuti insofferenti rispetto a una convinzione diversa dalla propria. E i più scatenati - anche questo pare assodato, pure nel report bocconiano- sono i progressisti. Curiosa nemesi: amano parlare di “diversità”, ma quando la differenza si manifesta sotto forma di un’idea non coincidente con la loro, avvertono la tentazione insopprimibile di schiacciarla. Orwell stesso resterebbe a bocca aperta: “diversità” è diventata una parola in codice per intendere esattamente l’opposto, cioè “conformismo” e “omologazione”. Un po’ come i salotti di Fabio Fazio: dove sono ammesse solo sfumature all’interno di un monocolore, nuances lievemente diverse ma rigorosamente all’interno del perimetro del “pensiero accettato”. Fuori da lì, c’è solo fascismo-razzismo-xenofobia.

Da anni, nella politologia, erano venuti moniti intelligenti, pessimisti, giustamente preoccupati, ad esempio da parte di uno studioso come Luigi Curini, forse il massimo esperto italiano di “polarizzazione affettiva”. Termine con cui si intende la tendenza a una reciproca aggressività, arrivando non di rado all’incapacità di accettare l’idea stessa che la parte opposta sia a sua volta in buona fede e voglia anch’essa il bene del paese (pur diversamente da noi rispetto alle strade da percorrere per realizzarlo). A Curini è spesso capitato di citare il giurista americano Cass Sunstein, il papà del neologismo partyism, un pericoloso mix di partisanship e racism: un impasto di faziosità e razzismo, la propensione a “votare contro”, a detestare l’“altro”. Sempre il professor Curini ha citato una ricerca americana che lascia a bocca aperta, e che risale a molto tempo prima rispetto a quella recentissima della Bocconi: «Negli anni ’60 meno del 10% degli americani si sarebbe sentito triste se il proprio figlio o figlia si fosse sposato con un elettore di un partito diverso dal proprio, laddove cinquant’anni dopo il dato sfiora il 50%».

Avete capito bene: mezza America non tollera l’idea di un pranzo domenicale con parenti di opinione politica diversa. Negli Usa l’estate scorsa sono usciti dati ancora più terrificanti. Qualcuno ha quotato appena al 4% il numero dei matrimoni “politicamente misti”, cioè quelli tra repubblicani e democratici, rispetto al totale dei matrimoni celebrati negli ultimi anni. E pure una ricerca dell’American Enterprise Institute basata su un campione di persone single, sia repubblicane che democratiche, registrava un’indisponibilità di circa due terzi degli interpellati ad avviare una relazione con un partner politicamente schierato dall’altra parte. E allora eccoci al punto più dolente. Cosa c’è dopo la “polarizzazione affettiva”? Cosa arriva dopo quella fase? La risposta è tanto facile quanto inquietante: una sorta di guerricciola civiltà strisciante, una sostanziale indisponibilità non solo a essere governati dall’altra parte, ma perfino ad ascoltare opinioni divergenti. La sinistra- spiace doverlo svelare ai compagni - porta poi un’ulteriore dose di veleno: ovvero la sua storica presunzione di superiorità morale e intellettuale, malattia che a destra fortunatamente non attecchisce. E questo fattore supplementare di incanaglimento dà il tono all’opposizione di sinistra: nessuna collaborazione è possibile con un governo di segno avverso, nessun riconoscimento di legittimazione è immaginabile, perché- segnatevelo, se no rischiate di dimenticarlo - la democrazia è in pericolo e i “fascisti” sono perennemente in agguato. La novità è che questo criterio talebano ha superato i confini delle aule parlamentari e degli studi televisivi, entrando di prepotenza nelle nostre case. E così il generatore automatico di anatemi e scomuniche è ormai perennemente attivato, pure in cucina e in tinello. Brutta storia. Non ne verrà niente di buono.

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