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Giuseppe Conte ora si riscopre "guerriero" del popolo col suo 10%...

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Francesco Damato
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Se n’erano perse un po’ le tracce, anche se i telegiornali ogni tanto ce lo propongono nelle immagini di repertorio mentre cammina sempre a passo spedito verso qualcosa, ma l’ex presidente del Consiglio e adesso solo di quel che resta del MoVimento chiamato ancora 5 Stelle, strappato al fondatore Beppe Grillo, è fra noi davvero. E cammina spedito, come al solito, anche leggendone un’intervista rilasciata alla Stampa, verso la piazza intesa in senso largo. Dove egli vorrebbe contestare un governo e, più in particolare, una premier responsabili della miseria in cui starebbero trascinando il paese a furia di scodinzolare, obbedendo sia a Trump sia all’Unione Europea. L’uno e l’altra, in verità, almeno al momento, non sono proprio allineati, ma Conte li allinea lo stesso pur di proporsi come il guerriero del popolo, dopo avere esordito politicamente come il suo avvocato, ai tempi del primo governo, quando tuttavia interrompeva le sue arringhe in Parlamento chiedendo prudentemente ai suoi due vicepremier, Luigi Di Maio e Matteo Salvini, se certe cose le potesse dire o no. Anche l’intervistatore Alessandro De Angelis deve essere stato colto da qualche dubbio inseguendo parole e concetti dell’ex premier nella corsa verso la piazza. Sino a chiedergli prudentemente e al plurale maiestatis delle 5 stelle: «Andate in piazza con i vostri alleati?».


Che sulla carta, pur stropicciata fra veti, distinzioni e simili, dovrebbero essere i partiti dichiaratamente di opposizione: dal Pd di Elly Schlein all’Italia Viva di Matteo Renzi, dalla sinistra radicale di Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli ad Azione di Carlo Calenda e a +Europa di Emma Bonino e Benedetto Della Vedova, più altri cespugli di varia anima, denominazione e ambizione. «I nostri primi alleati - ha risposto Conte, sempre a passo sostenuto- sono i cittadini, quell’Italia che non si rassegna al declino, all’impunità di chi sente intoccabile e al di sopra della legge». Anzichè al di sotto, come una certa magistratura abituata da una trentina d’anni e più a esondare cerca di mettere i politici scomodi o antipatici di turno.
«I cittadini», dice Conte con piglio giacobino, appreso a scuola studiando magari la rivoluzione francese. I cittadini che hanno pagato a caro prezzo la «sconfitta della povertà» annunciata dal balcone di Palazzo Chigi senza paura del ridicolo sfornando la prima di una certa serie di misure demagogiche, o semplicemente avventate prima nelle previsioni e poi nella gestione.

 



I cittadini affamati e in miseria che Conte sogna sinistramente di trascinare in piazza per travolgere un governo che disporrebbe, nella sua visione, di una forza arbitraria nel Parlamento pur aperto dai grillini come una scatola di tonno, sono magari quelli che lo stesso Conte vede uscire o entrare nei ristoranti davanti ai quali passa ad andatura svelta e non sono ancora consapevoli della loro intima, prenotata miseria. I cittadini in attesa dei quali si sono già consumate altre avventure qualunquistiche nella storia italiana, pur riconoscendo - per carità - che questa che Conte ha ereditato da Beppe Grillo si è rivelata più resistente del solito. Ancora oggi le 5 Stelle, pur dopo precipizi locali come quelli dell’anno scorso in Liguria e in Emilia Romagna, vagano nei sondaggi sopra il dieci per cento dei voti. Che forse dà a Conte l’ebbrezza, pur in un sistema elettorale non più proporzionale come una volta, di sentirsi essenziale come lo fu a suo tempo, per esempio, il partito di Bettino Craxi. Odi Ghino di Tacco, come lo definì una volta Eugenio Scalfari pensando di ferire a morte l’allora presidente del Consiglio, che invece da allora preferì firmare così i corsivi che mandava al giornale del suo partito da Palazzo Chigi. Dove il leader socialista riuscì a governare per tre anni, e per niente male, pur tra continui preannunci di crisi stampati come manifesti dalla Repubblica di carta di Scalfari, appunto. Altri tempi, altri uomini, altre stelle....

 

 

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