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Sanremo 2025, l'appello di Capezzone: ci inchiniamo alla kermesse. Ma per favore niente sermoni
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Va bene, squaderniamo subito una onesta e umilissima dichiarazione di resa preventiva: siamo pronti a inchinarci a SMS, cioè a Sua Maestà Sanremo. Da stasera lo guarderemo, parteciperemo al rito, berremo il calice fino all’ultima goccia. E alla fine dei conti (o del Conti), questo calice non lo troveremo nemmeno così amaro: qui a Libero, giustamente, abbiamo sempre detestato gli snob, quelli che dicono di non guardare il Festival (e poi ovviamente lo guardano), gli schifati col sopracciglio inarcato e la boccuccia di traverso, gli intellettualoni autoproclamati, quelli che ci vorrebbero far credere che – da stasera – si dedicheranno per cinque giorni all’ascolto dei Concerti Brandeburghesi di Bach (magari) e alla lettura dei sonetti di Shakespeare.
Bach e Shakespeare (qui) li adoriamo per davvero. Ma solo gli sciocchi e i presuntuosi alzano un muro tra “alto” e “basso”, e ignorano che la vita è fatta di ingredienti diversi, tutti intrecciati tra loro come legni di vimini. Peggio: guai a chiunque concepisca la cultura come una torre d’avorio (destinata a quel punto a essere torre di gesso, cioè fragile), oppure l’impegno politico come qualcosa di ottuso e integralista, tale da escludere tutto il resto, a partire da un igienico momento di decompressione, di sorriso, di alleggerimento.
La minaccia di Roberto Vannacci in accappatoio: cosa può succedere a Sanremo 2025
Dunque, nella nostra redazione abbiamo le carte in regola: ci piace il pop e pure il superpop, non abbiamo paura del trash, sappiamo bene quanto sia necessario allargare e non restringere lo spettro delle persone a cui ci si rivolge.
Detto questo, però, c’è un limite: est modus in rebus. Tradotto in italiano volgare: non ammorbateci per una settimana intera, lasciateci almeno un attimo di respiro, concedeteci qualche angolino di palinsesto tv minimamente de-sanremizzato. Chiediamo solo questo: che una manifestazione “totale” non diventi “totalizzante”.
Sanremo 2025, la scaletta della prima sera (e quella promessa di Carlo Conti)
Ci sono stati anni in cui si è avuta la sensazione che, durante la settimana di Sanremo, qualcuno avrebbe potuto tranquillamente organizzare un colpo di stato in Italia: tanto, l’attenzione generale sarebbe stata dedicata al Festival. Oppure (è stato il caso dell’anno scorso, con la pessima gestione targata Amadeus del caso trattori/agricoltori) ci sono state annate in cui il Festival non solo ha assorbito e monopolizzato tutto per una settimana, travolgendo ogni argine, ma ha anche dettato l’agenda a governo e parlamento, facendo del conduttore un vero e proprio “commissario della Repubblica”.
Ecco va bene tutto: il nuovo conduttore (che ieri ha iniziato bene in conferenza stampa, gliene diamo volentieri atto), i co-conduttori, i cantanti, i super-ospiti, e naturalmente le mitiche polemiche (quelle vere, quelle false, quelle finte, quelle verosimili: con un manipolo di autori pronti da mesi a lavorare sulla scientifica costruzione del casino). Tutto molto bello, avrebbe detto Bruno Pizzul. Ma nel mondo ci sarebbero ancora un paio di guerre, alcune elezioni decisive in vista (Germania), la spettacolare partenza della presidenza Trump, e mille altre questioni di discreta rilevanza di cui discutere. Oseremmo sperare due cose: la prima è che queste “bazzecole” non vengano totalmente cancellate dall’informazione per una settimana; la seconda – uguale e contraria – è che il palco di Sanremo non diventi abusivamente il luogo per affrontarle.
A tutta la fauna (e la flora) dell’Ariston giunga dunque un sincero e affettuoso augurio di buon lavoro, ma pure un caldo auspicio: quello di essere sempre assistiti sia dal senso della misura sia dal suo sottovalutato ma preziosissimo fratello, il senso dell’umorismo. Non tocca a voi guidare l’Italia e il mondo, e non tocca voi nemmeno salvare le nostre anime. Non provate a “rieducarci”, please. Niente comizi e comizietti, niente sermoni, niente prediche. Telecomando (o no) in mano, ci pensiamo da soli. Grazie in anticipo.
Dai blog
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Giustizia privata, né buoni né cattivi
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