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Pomigliano d'Arco, la retata imbarazza il sindaco anti-FdI: chi finisce in manette
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«Papà, dove vai con quella pistola?». Basterebbe quest’intercettazione per descrivere come hanno vissuto gli abitanti di Pomigliano d’Arco, paese del napoletano che un tempo era ricco e felice grazie alla Fiat e che oggi è dilaniato dalla guerra tra due fazioni rivali: i Cipolletta contro i Ferretti-Mascitelli. Clan agguerriti che si contendono col piombo e il sangue il controllo del racket, dell’usura e della droga. Ventisette arresti, compresi quattro minorenni, 54 indagati: sono i numeri dell'inchiesta che, per bocca dello stesso procuratore partenopeo, Nicola Gratteri, è uno schiaffo al sindaco della città, il socialista Lello Russo, che tempo fa aveva minimizzato la presenza delle cosche sul territorio polemizzando addirittura con la presidente della commissione parlamentare antimafia, Chiara Colosimo, che gli consigliava invece «maggiore prudenza». «Nella mia città non c’è alcun clan camorristico», aveva dichiarato il politico. «Mi pare che sia stato smentito», ha ribattuto ieri Gratteri in conferenza stampa. All’angolo, Russo ha balbettato: «Sono stato frainteso».
In Municipio, peraltro, è ancora al lavoro la commissione d’accesso per verificare eventuali infiltrazioni malavitose. «Papà, dove vai con quella pistola?», dicevamo: a parlare è un bambino che nota il padre scarrellare una semiautomatica in casa, prima di uscire. È uno dei «soldati» che, per oltre due anni, hanno terrorizzato la comunità con rapine, attentati incendiari e agguati. I più feroci, si legge nella gigantesca ordinanza di custodia cautelare (oltre mille pagine), sono stati i ragazzini, apprendisti camorristi che volevano ottenere l'investitura a «picciotto». Uno di loro, già promosso, si è fatto tatuare il nome «Cipolletta» sul polso a dimostrazione di perenne fedeltà. La stessa che aveva portato il padre, pure lui affiliato, a morire mentre tentava di dare fuoco a un’auto.
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I gruppi nemici si rincorrono armi in pugno nelle piazze, nelle strade, nei vicoli, fin dentro i cortili dei palazzi. Armi da guerra, come i fucili mitragliatori. È la Striscia di Gaza. Chi sbaglia, muore. E muore anche chi si attarda a pagare il racket. «Qualche volta ti faccio dormire io... non ti preoccupare, ti faccio l'eterno riposo... riposa in pace, amen», dice un estorsore a un commerciante. La «tassa della tranquillità» è di almeno 1.000 euro ogni tre mesi. Tutti devono versare la tangente nelle casse delle due organizzazioni. Finanche i parcheggiatori abusivi a cui un «malacarne» intima: «Ti scarico tutta la pistola, tutta... mi metto fuori casa... gliela scarico tutta quanta addosso». A una famiglia che vive in una casa popolare, il capoclan (ai domiciliari) fa arrivare una «cartella esattoriale» da 10mila euro. «Caccia i soldi o devi lasciare l’appartamento».
Ma è sulla droga che si fanno i soldi veri. E per questo i Ferretti-Mascitelli e i Cipolletta non usano mezze misure per gestire i narcomarket in paese. «Già sei andato bene che non ti abbiamo schiattato la testa in mezzo al piano terra», è la minaccia di un camorrista a un pusher non autorizzato sorpreso in strada, «tu a Pomigliano non devi scendere più». E così accadrà: il giovane cambia aria. Meglio non sfidare chi, come ha scritto il gip, può contare su ogni tipo di arma illegale. I Cipolletta, è emerso nel corso delle indagini, sono diventati i monopolisti del traffico di stupefacenti e di telefonini nel carcere di Carinola, in provincia di Caserta. Il clan arruola esperti dronisti che, facendo volteggiare i mini velivoli sulla struttura detentiva, sganciano i pacchetti in aree poco controllate dove i detenuti andranno poi a recuperarli.
Per ogni viaggio, il gruppo paga al pilota 750 euro, ma ne incassa molti di più. I contrattempi però sono all'ordine del giorno: un carico perso, un errore di misurazione, una parola di troppo. E scattano le punizioni, come quella annunciata dal boss Beniamino Cipolletta a un soggetto non identificato: «'O fra, mi senti a me? Noi ti tagliamo la mano che tu non lo puoi alzare più il drone, hai capito?». E ancora: «Ti devi imparare ad alzarlo con i piedi dopo, poi ti impari coni piedi e ti tagliamo pure il piede...». Un contesto di violenza assoluta in cui sguazzano pure i bambini. Come dimostra l’intercettazione di una videochiamata tra lo zio, detenuto a Carinola, e il nipotino di tre anni. «Dobbiamo andare a sparare a tutti quanti», dice l’uomo. E il piccolo, che sta in braccio alla mamma, gli risponde: «Sparo ai poliziotti...». E lo zio ribatte: «Gli spariamo in faccia». E il bimbo replica: «Eh».
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