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Gli sciacalli del giorno del ricordo: ecco le brigate dell'odio rosso

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Pietro Senaldi
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Gli italiani d’Istria, il cui eccidio viene commemorato oggi, nel Giorno del Ricordo, istituito 21 anni fa grazie a una legge voluta dal senatore Roberto Menia, di Fdi, sono stati infoibati tre volte. La prima nel 1945, dalla ferocia delle bande armate comuniste del maresciallo Tito, con la complicità dei partigiani rossi italiani del luogo: ventimila e più persone, militari e civili ma anche donne e bambini, legate insieme sul ciglio delle faglie carsiche; si sparava in testa al primo della fila e questo trascinava giù tutti, per decine di metri, e chi restava vivo, veniva sepolto lo stesso.

La seconda volta nel lungo Dopoguerra, quando la ragion di Stato fece cadere il velo sul loro massacro. Bisognava chiudere gli occhi sugli orrori comunisti, per placare gli animi, e trovare una convivenza con la Jugoslavia. Sono gli anni del treno della vergogna, quello che trasportava le famiglie di profughi in fuga, assalito dagli iscritti della Cgil e del Pci. Si fece finta per decenni che gli istriani (350mila esuli) fossero tutti feroci fascisti e il loro dramma non ebbe cittadinanza nelle scuole, sui giornali, nella società.

Solo nel 1991, con il presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, che si inginocchiò dinanzi alla foiba di Basovizza, porgendo alle vittime e ai loro discendenti le scuse dell’Italia, lo Stato riconobbe per la prima volta ufficialmente la tragedia, ma senza sciogliere davvero i nodi della storia. «L’attuale regime è dominato da una pseudocultura che ci è stata propinata in modo egemonico per quarant’anni come cultura democratica e ci ha impedito finora di andare a Basovizza. Chiedo perdono agli italiani dimenticati dalla nostra classe politica», disse il capo dello Stato, ignaro che quegli anni di menzogne non sarebbero finiti lì e che i suoi successori non ne avrebbero seguito l’esempio.

VANDALISMI E OFFESE
La terza volta è in questi giorni, che Massimiliano Lacota, presidente dell’Unione Istriani definisce «di recrudescenza». In tutta Italia si sono verificati episodi di odio e intolleranza. A Basovizza sono apparse scritte in sloveno, «Trieste è nostra» e «Morte al fascismo, libertà al popolo», e in italiano, «Trieste è un pozzo». «Morte ai fascisti» e «No al revisionismo» anche a Giulianova, in Abruzzo, nella sede dove è previsto per oggi l’evento commemorativo “Io ricordo”, promosso da Fratelli d’Italia.«Aridità di cuore, ignoranza storica, becera ideologia»: così hanno commentato gli organizzatori. Stessa scena a Roma, al parco della Balduina, dove è stata imbrattata la targa in memoria delle foibe. «Fasci merde», la scritta a caratteri cubitali nel parco di Torino, sotto il ceppo che ricorda il grande esodo. «La storia non si cancella con la vernice. Ci auguriamo che i responsabili di questo scempio vengano individuati» ha dichiarato la deputata di Fdi, Cristina Almici, sapendo che il capoluogo piemontese è il cuore dell’estremismo sovversivo che opera contro il governo, un filo rosso che unisce autonomi, centri sociali, no tav, pro Pal. E poi Cagliari, con le stesse frasi davanti al parco dedicato ai martiri delle foibe.

Ancora peggio quello che accade nelle scuole, che sono il luogo dove le nuove generazioni possono conoscere la vera storia degli istriani, nascosta per vile opportunismo a chi ha studiato prima del crollo del Muro di Berlino e per ideologia carogna a chi è arrivato sui banchi dopo. A Vicenza, davanti al liceo classico Pigafetta, due ragazzi di Azione Studentesca che distribuivano volantini sul Giorno del Ricordo sono stati aggrediti da un gruppo di studenti.
Al liceo Rossellini di Roma è stato annullato il convegno del senatore Menia, chiamato dal preside e da alcuni professori intenzionati a rompere il muro d’omertà. Troppo forte è stato il fuoco di sbarramento dei collettivi di sinistra, appoggiati da un vicepreside, secondo i quali il Giorno del Ricordo sarebbe «l’occasione perfetta per i fascisti per uscire dalle fogne».

Campo aperto invece, per spiegare il dramma istriano nelle scuole all’Anpi, che vorrebbe trasformare il 10 febbraio in una commemorazione congiunta di civili istriani e miliziani titini, vittime e carnefici insieme. «Non ci si può limitare a ricordare le grandi tragedie dell’esodo e delle foibe» scrivono gli eredi dei partigiani rossi, «va ripristinata la verità storica e vanno riconosciute le responsabilità nei confronti delle altre vittime, basta demonizzare la contestualizzazione dello scenario nel quale avvennero i fatti». Amareggiato ma non stupito Lacota, secondo il quale «fare spiegare le foibe all’Anpi sarebbe come far spiegare la Shoah alla Wermacht».

L’OLTRAGGIO TITINO
«Con tristezza e disgusto noto un avvelenamento del clima intorno al 10 febbraio», è il commento di Menia. «Una data che dovrebbe unire tutti gli italiani diventa occasione di negazionismo ed è strumentalizzata per attaccare il governo Meloni, nel silenzio tombale dei leader della sinistra, che non hanno detto neppure una parola sull’oltraggio ai martiri di Basovizza». Oggi alla foiba, per il Pd, a parte qualche rappresentante locale, ci sarà solo l’ex presidente della Regione, Debora Serracchiani, presente ogni anno per salvare la faccia a tutti, perché la strategia dem è derubricare il dramma a vicenda locale. Per il governo ci sarà invece il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, dopo che l’anno scorso era venuta Giorgia Meloni. Altre presenze sarebbero state altrettanto significative, vista la delicatezza del momento. Intanto gli istriani e i giuliani, nelle giornate in cui si celebra l’alleanza tra la slovena Nova Gorica e l’italiana Gorizia, insieme capitali europee della Cultura per il 2025, sollevano ancora una volta il caso della gigantesca scritta “Tito” che campeggia sul monte Sabotino, oltre il confine. È visibile da ogni strada del centro cittadino ed è ritenuta la prova che la storia non è passata e tanta strada è ancora da fare nel senso di una pacificazione. Per riuscirci, bisogna che tutti lo vogliano in maniera compatta; in primis sul fronte italiano. 

 

 

 

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