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Augusta Montaruli, se in televisione è meglio un "bau" degli insulti della sinistra

Pietro Senaldi
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Un’abbaiata li seppellirà. Adesso tocca ad Augusta Montaruli. L’obiettivo del giorno dell’opposizione è la deputata di Fratelli d’Italia, alla gogna dei social per aver risposto in modo decisamente originale alle villanie nei suoi confronti di Marco Furfaro, onorevole tra i prediletti di Elly Schlein nella batteria dem dei galli da combattimento. Nel salotto tv di Tagadà, dopo aver minacciato di querelare il nostro collega di Libero, Sandro Iacometti, colpevole di avergli ricordato che è stato un governo del Pd il primo a firmare i patti con gli stupratori e torturatori libici, il Furfarone è passato a insultare Montaruli, rea di aver tentato una difesa del giornalista. «Io ho la fedina penale pulita. Fdi non doveva mandare a discutere con medi una questione di legalità una persona condannata (per peculato; ndr)», si è impettito l’onorevole dem. «Bau, bau, bau bau, bau, bau bau», l’ha interrotto ripetutamente la sorella d’Italia, a ricordargli che il Pd non può dare lezioni a nessuno in materia penale. Restano infatti ancora un mistero i 24mila euro trovati nascosti nella cuccia del cane di Monica Cirinnà ed Esterino Montino, coppia glamour e moralista dei dem laziali che non ha mai saputo giustificare la somma. Una brutta vicenda rievocata dal latrato.

 



Ma come ci siamo ridotti?, è insorto il tribunale dei social, sempre pronto a far la morale agli altri non avendone una propria. E giù insulti a Montaruli, già vittima di internet qualche settimana fa, quando denunciò pubblicamente che la rete la accusava falsamente di aver messo in conto alla Regione Piemonte l’acquisto di un vibratore. L’onorevole di Fdi non si è sentita difesa dalla conduttrice, Tiziana Panella. Ma come, avrà pensato la deputata, Furfaro sa che sono invitata con lui in tv, ci viene e poi dice con non vuol confrontarsi con me perché ho una condanna, per la quale peraltro mi sono dimessa da sottosegretario, anche se non era richiesto dalla legge. E la conduttrice che fa? Non lo riprende, non mi difende. Allora ci provo io a imporre una pax Augusta, puntando sul surreale, che però, quando la situazione diventa grottesca, è il registro migliore. Se il talkshow si trasforma in cagnara, meglio abbaiare in senso letterale piuttosto che in senso figurato, spacciando per verità delle boiate indegne perfino di un essere a quattro zampe. Si discuteva infatti del rimpatrio del capo della polizia penitenziaria libica, Almasri, e l’onorevole dem ripeteva la lezioncina recitata da Schlein e Conte in Parlamento: il governo è ricattabile, ha liberato un torturatore, abbiamo fatto ridere il mondo. E in risposta alle obiezioni di Iacometti e Montaruli, minacce e aggressioni: zitto tu, che ti querelo, zitta tu, che io sono più puro.

Bene allora Montaruli, a ricordare che spesso in politica il più puro ha la rogna e che se uno accetta un confronto tv, deve poi affrontarlo alla pari, perché se inizia a ringhiare, è giusto ripagarlo con la stessa moneta. E il Furfarone, in effetti, aveva iniziato a insultare, tronfio di una superiorità morale che il Pd millanta ma nessuno gli riconosce, soprattutto tra chi sa bene certe vicende d’Italia, che basta un “bau” a rievocare. L’abbaiata televisiva può non piacere, i gusti sono insindacabili. Ha però il pregio dell’immediatezza comunicativa e della mancanza di ipocrisia. I patti con la Libia sono stati criticati e rinfacciati a questo governo da premier e partiti che li hanno firmati e rinnovati. Giorgia Meloni è stata accusata dall’opposizione di essere ricattabile dal regime libico. Ma i criminali di Tripoli ci sono perché la sinistra italiana, infatuata di Obama e alleata di Sarkozy, al quale chiedeva un aiuto per far cadere Berlusconi, costrinse il Cavaliere a unirsi nella guerra a Gheddafi. Dovevano portare la democrazia in Libia, hanno favorito una banda nella quale Almasri non è peggio degli altri. Meloni è ricattabile perché è disposta a venire a patti nell’interesse dell’Italia. La sinistra tornerà a vincere quando farà lo stesso, non fino a quando continuerà a rinnegare il poco di buono che ha fatto. Ma quei patti li firmò Marco Minniti, allora al Viminale e oggi non più nel Pd solo perché migliore di chi ne ha preso il posto nel partito.

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