Sinistra, marciare divisi alle prossime elezioni è l'ultimo gioco di prestigio
Ma che mondo meraviglioso questo Pd. Non sanno come dire ad Elly Schlein che a furia di spostarsi a sinistra perderà qualunque ipotesi di riaggregazione al centro e altro che premiership: l’avviso è che non le faranno fare neppure il leader dell’opposizione. È l’eterno dilemma della sinistra: che fare? E così da qualche giorno si alternano interviste e interventi rassicuranti a parole, ma feroci nei fatti. Nel non detto. I big del partito mettono il loro carisma a disposizione di chi non vuole più la segretaria a dettare ordini. E così che si è capaci di passare dall’antica e gioiosa macchina da guerra coniata al tempo di Achille Occhetto a quella giocosa di Goffredo Bettini, sulla scia di Dario Franceschini. L’ultima, fantastica ideona è picconare il bipolarismo e soprattutto sottrarre potere di scelta di chi governa agli italiani. Alle elezioni ci andremo ognuno per proprio conto e dopo ci alleeremo per cacciare il centrodestra o la parte più cospicua di esso: magari un pezzetto verrà via con noi, è la loro illusione.
Le studiano tutte a sinistra. Ci diceva rassicurante nei giorni scorsi un pezzo da novanta del partito laziale: «Almeno non ci perdiamo a parlare sempre di alleanze». Già, meglio correre da soli e poi chi vivrà vedrà. Ma chi vivrà non se lo chiedono. Una frase di Romano Prodi spiega molto: il Pd è al 25%, manca un altro 25% per fare 50. Lo spettro dell’opposizione a vita, dopo la “proposta” di Franceschini – ognuno per sé – lo respinge Goffredo Bettini, capace di assicurare la Schlein che sarà lei la premier, ma anche tutti gli altri – veltronianamente – che si aprono i giochi con la formula magica: diversamente uniti. Sembra una mozione congressuale, quelle che univano le correnti di partito al grido di uniti nella diversità. Fare e disfare il giorno prima e il giorno dopo le elezioni. Dite le cose come stanno, invece: la proposta Franceschini punta ad eliminare il primato del popolo su chi governa. Gli accordi “dopo” anziché “prima” del voto. È la resa della sinistra alla proprio incapacità di costruire un’alternativa al centrodestra. Immaginiamole tutte queste liste che dopo il voto si dovrebbero sommare “contro le destre”.
Quale sarebbe il loro linguaggio se non quello di estremizzare la raccolta del consenso con proposte di programma ciascuna più lontana dall’altra? Comizio in piazza per la patrimoniale. Risponde l’alleato di domani ma non di oggi: e noi vogliamo la droga libera. Aspettate, ci sono anche io che voglio poter occupare qualunque appartamento appena socchiuso. E a quei poveretti che aspettano amnistia e indulto quale lista ci pensa? Per non dire di chi chiederebbe agli elettori più poliziotti in galera e più malfattori in libertà. Unità, forse, solo per le frontiere spalancate ai clandestini di mezzo mondo. La campagna elettorale come la fiera delle novità. Il casino totale. Il guazzabuglio delle parole in cambio di voti.
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La controprova? Il sì dei cinque stelle. Gubitosa: è la proposta emersa alla Costituente. E la Appendino: ma sì, meglio soli. È la famosa “forza del progetto”. Che nessuno conosce, ma che da qualche parte qualcuno deve aver nascosto alla vista degli elettori. L’auspicio è che al Nazareno riescano a riprendersi rispetto agli choc da sondaggio quotidiano: forse conviene loro non commissionarne più per non essere costretti ad escogitare strade seminuove ma pronte a franare. Perché il bipolarismo non lo scardineranno loro solo perché vedono la sconfitta come unica prospettiva per la loro assenza di visione politica. L’Italia non è alla ricerca dei giochi di prestigio di una sinistra malridotta.