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Almasri, le strane coincidenze sul libico fermato e scarcerato in Italia

Brunella Bolloli
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Il nuovo caso del giorno cavalcato dall’opposizione ruota attorno alla scarcerazione di Najeem Osema Almasri Habish, comandante della polizia giudiziaria libica nonché direttore del temutissimo carcere di Mitiga, vicino a Tripoli, arrestato domenica a Torino, rilasciato a tempo di record e rispedito in patria con un volo di Stato. Tutto è avvenuto secondo le procedure, eppure la vicenda ha rianimato la sinistra per via delle «spiegazioni» che la Corte penale internazionale dell’Aja pretende dall’Italia, colpevole, secondo i giudici dell’Aja, di avere rimesso in libertà il libico accusato di essere un efferato torturatore di migranti, «senza preavviso né consultazione». Per l’occasione alla Camera è resuscitato il campo largo, compatto nel chiedere alla premier Giorgia Meloni di «venire in Aula a riferire» e al ministro della Giustizia di «dimettersi». Tale, infatti, è stato il leit-motiv della conferenza stampa di ieri a Montecitorio con la segretaria del Pd Elly Schlein in mezzo alla coppia di Avs, Bonelli e Fratoianni, ai lati opposti della tavolata Maria Elena Boschi di Italia viva e Matteo Richetti per Azione, immancabile Riccardo Magi di +Europa, presente pure il capogruppo grillino, Riccardo Ricciardi.

Il governo riferirà su Almasri la prossima settimana in Parlamento con il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, tuttavia, alcuni dettagli e incroci delle date, evidenziano che molto non torna ben prima del fermo del libico avvenuto sul suolo italiano il 19 gennaio. Non si comprende, infatti, come nonostante sul presunto torturatore ci fosse un corposo dossier zeppo di capi d’accusa (prosecution) formulati dalla Cpi già dal 2 ottobre 2024, l’ordine di cattura internazionale sia partito solo 108 giorni dopo. Ordine emesso, guarda caso, in coincidenza della partenza del libico per l’Italia, non prima. Perché? Eppure nelle 35 pagine di “istruttoria” imbastita contro il generale si faceva riferimento anche a una segnalazione dell’Interpol, circostanza questa che avrebbe dovuto fare scattare un alert in territorio tedesco ben prima del 18 gennaio. Tale data, letta oggi, non appare tanto casuale, come se qualcuno al corrente degli spostamenti del libico (di sicuro pedinato per via del suo curriculum criminale) abbia atteso l’arrivo dell’uomo in Italia per scaricare a noi la gestione del “problema”. Il giallo ai danni dell’Italia si complica se si pensa che né la polizia federale tedesca né gli 007 di Berlino hanno ritenuto nei mesi intercorsi tra ottobre e gennaio di occuparsi del pericoloso dirigente della milizia di Tripoli promosso in patria per particolari meriti nella gestione dei detenuti e però ricercato dai giudici del’Aja come carnefice e stupratore seriale. E ciò non è avvenuto perché la Cpi, in cui siedono 18 giudici eletti dall’Assemblea degli Stati membri (per l’Italia c’è Rosario Salvatore Aitala) ha fatto scattare il mandato d’arresto solo adesso, cioè il 18 gennaio un funzionario presso la Corte penale ha attivato l’ordine internazionale di cattura proprio quando il libico si è mosso per lasciare la Germania verso l’Italia.

 

Il direttore del carcere di Mitiga, infatti, prima di raggiungere il nostro Paese, con tre amici (già espulsi e rimpatriati) circolava liberamente insieme ai suoi sodali, gli stessi con cui da uomo libero il 18 gennaio si è recato in un autonoleggio dove ha chiesto un mezzo per partire. Il veicolo, ha specificato l’uomo al momento di stipulare il contratto per l’affitto, sarebbe stato riconsegnato poi in Italia, a Fiumicino. Almasri era diretto qui perché aveva deciso di andare a Torino a vedere il big match di calcio tra Juventus e Milano.

Cosa che effettivamente ha fatto sabato sera. Nel capoluogo piemontese l’uomo ha soggiornato in un b&b dove ha mostrato i documenti prima di prendere possesso della stanza, come sempre avviene per chiunque. A quel punto, però, il suo nome quale ricercato internazionale è comparso nella banca dati dello Sdi, per questo gli agenti della Digos di Torino hanno bussato alla sua stanza d’albergo, l’hanno prelevato e condotto nel carcere delle Vallette. L’Italia ha eseguito il fermo ottemperando ai suoi impegni di Paese contraente della Corte penale. L’arresto giudicato «irrituale» non è stato poi convalidato dal momento che la procedura prevista dalla norma speciale che riguarda la Cpi è diversa da una semplice estradizione. Non prevede, infatti, l’arresto su iniziativa della polizia giudiziaria, mentre contempla la competenza esclusiva del ministro della Giustizia il quale, però, in questo caso non è stato informato prima del fermo.

In sintesi, a causa di un’omessa comunicazione al Guardasigilli, un cavillo, il pg della Cassazione ha ritenuto che non vi fossero validi motivi perla convalida dell’arresto e ha richiesto l’immediata scarcerazione del generale accusato di crimini di guerra. Richiesta accolta, come si legge nell’ordinanza dalla Corte d’Appello di Roma. Il 21 gennaio dunque il libico tifoso di calcio è stato accompagnato fuori dalla cella e messo su un volo di Stato per motivi di sicurezza. Anche su tale aspetto l’opposizione ha gridato allo scandalo, denunciando un possibile scambio o trattativa segreta tra il nostro governo e quello libico. Qualcuno ha rievocato l’episodio dell’iraniano Abedini del caso Cecilia Sala, che però nulla centra, e ora la Cpi incalza l’Italia. Ma su Almasri, accolto al suo arrivo in patria come un eroe, l’unico elemento certo è che tra Italia e Libia i rapporti sono buoni e dal 2017 è attivo un accordo per fermare le partenze dei migranti che provano ad arrivare sulle nostre coste.

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