Beppe Sala? Di Milano non gli importa nulla
Sala; d’aspetto. Milano insicura è un caso nazionale. La città è passata in un amen dalle rom che borseggiano i passeggeri in metropolitana, e si arrabbiano con chi le filma e le denuncia, alle violenze in serie in Piazza Duomo contro le donne a opera di bande di giovani musulmani, transitando perla fuga notturna, in moto a tutta velocità, di Fares e Ramy, fermati dai carabinieri in quanto sospetti e che tentano di seminare le forze dell’ordine. Ce ne sarebbe da dire per il sindaco, che su questi episodi ha parlato poco e male, prima sostenendo che gli agenti hanno sbagliato a inseguire i ragazzi, poi glissando sulle molestie in piazza, giustificandosi con il garantismo e la necessità di far lavorare la giustizia.
Ieri, finalmente, il (cieco) Beppe ha preso il coraggio a due mani e rilasciato una poderosa intervista al Corriere della Sera. Sulle tematiche che interessano ai suoi concittadini, non una parola; d’altronde si è capito da un pezzo che al sindaco del Comune che amministra non importa più molto, se mai gli è importato. Sala si esercita sui massimi sistemi della sinistra: l’opportunità del terzo mandato, il rebus di come intercettare i moderati progressisti che non si riconoscono nel Pd massimalista di Elly Schlein, l’idea ribadita di federare un centro fuori dal perimetro dem, questo Nord dove i progressisti proprio non spaccano e mancano di personalità del suo livello.
REBUS CON QUATTRO SOLUZIONI
E qui scatta legittima la domanda: ma Sala, che sabato si è infilato non invitato al summit meneghino dei cattolici del Pd, officiato da Romano Prodi e con l’ex tassatore capo Ernesto Maria Ruffini come star dell’evento, cosa vuole e quali progetti cela? L’uomo ha davanti un paio d’anni di mandato, che onorerà controvoglia come gli ultimi tre trascorsi, ed è evidente che sta già pensando da tempo al proprio futuro. Alla domanda su cosa intenda fare da grande, che per lui corrisponde alla vigilia dei settant’anni, il sindaco vacanziero risponde che gli basta dare una mano. Già, ma a chi e come, visto che un paio d’anni fa dichiarava di voler iscriversi ai Verdi, prima e dopo ha sostenuto di sentirsi molto vicino al Pd, infine ha affermato che serve qualcosa fuori dai dem, non senza essersi fatto mancare un’infatuazione per M5S, sia in versione Grillo sia in versione Luigi Di Maio?
Il fronte progressista auspicherebbe che Beppe si candidasse autorevolmente a perdere le Regionali del 2028 in Lombardia, ma servono olio di gomito e spirito di sacrificio e lui, una volta smontato dalla bicicletta, sua grande passione, non è un faticatore. Inoltre c’è Emilio Del Bono, suo collega a Brescia fino al 2023, che aspirerebbe. Gli ottimisti pensano che il presenzialismo mediatico su temi che poco lo riguardano nasconda la volontà di essere consultato e dire la sua in maniera decisiva su chi sarà il candidato della sinistra a succedergli a Palazzo Marino. I maliziosi giurano che sia tutta pretattica: Sala attacca, leggermente, il Pd in modo preventivo, perché non gli rompa le scatole e, per esempio, non gli boicotti il salva-Milano, che i dem hanno approvato alla Camera ma già qualcuno vorrebbe emendare in Senato, dopo le critiche di M5S e Avs. Fosse così, saremmo comunque al piccolo cabotaggio.
In realtà il sindaco si è fatto i conti; e il suo ragionamento, per metà, tiene. Le assise dello scorso fine settimana dei catto-dem, che tra gli altri hanno visto Graziano Delrio e Lorenzo Guerini a Milano e Paolo Gentiloni con Giorgio Gori a Orvieto, hanno fatto capire che difficilmente dal Pd si staccherà una nuova Margherita. I moderati dem di cui sopra sono infatti riusciti a convincere Schlein che lei può davvero essere la candidata di tutti per Palazzo Chigi. La signora ci ha creduto e per questo, quando compilerà le liste elettorali, terrà per loro un buon numero di posti, per riequilibrare il partito e tranquillizzare l’elettorato dopo annidi scelte movimentiste servite nel frattempo a riportare a casa qualche voto trinariciuto persosi nell’astensionismo.
PIÙ TESTIMONIAL CHE LEADER
Per chi comunque non si dovesse fidare dell’equilibrio delle poltrone che sarà raggiunto nel mercato dem, ecco pronta l’opzione Sala di «una nuova forza da affiancare al Pd, al quale manca qualcosa, un apporto utile» da parte di chi appunto vuol dare una mano. «Non un federatore», che unisce quel che già c’è, ma qualcuno che «occupi uno spazio dove la domanda è forte ma l’offerta è debole». Il progetto implica iniziativa, carisma, determinazione e disponibilità a sbattersi; quindi chi conosce Sala si chiede come possa esserne lui l’interprete. Il problema però se lo pongono tutti, tranne l’interessato, che ritiene sia sufficiente che lui esprima il desiderio per venire cooptato e perché tutto un mondo si attivi al suo servizio. D’altronde lui si pensa, e ormai è solamente, un testimonial. Il lavoraccio, lo facciano gli altri...