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Ramy e i carabinieri, cos'hanno fatto sparire i giornali

Pietro Senaldi
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Venerdì sera si è saputo che, secondo la procura di Milano, che indaga sulla morte di Ramy Elgaml, l’inseguimento effettuato dai carabinieri alla moto con in sella il ragazzo in fuga nella notte a tutta velocità è stato «corretto», non ha violato alcuna procedura.

Un elemento importante a favore delle forze dell’ordine, vittime da quasi due mesi di attacchi feroci da parte della sinistra e di un’offensiva mediatica da parte della stampa progressista, dichiarata e non, nonché bersaglio di manifestazioni di piazza aggressive e intimidatorie che l’opposizione non ha mai condannato e talvolta ha difeso.

 

 

 

La notizia, per dirla in gergo, c’era tutta. Eppure solo noi di Libero, oltre al Giornale e alla Verità, l’abbiamo riportata. Gli altri, che sbadati, non l’hanno vista o si sono dimenticati di metterla in pagina. Giusto un boxino in cronaca in un paio di quotidiani più attenti, o intellettualmente onesti.

Eppure da settimane, nei salotti televisivi come nei bar e nelle redazioni, il destino di Ramy è quotidiano oggetto di polemiche e riflessioni, né più né meno di quello di Donald Trump e ormai molto di più di quello dell’Ucraina e di Volodymyr Zelensky.

Sia chiaro, non ci permettiamo di criticare, solo di rilevare. La valutazione della notizia spetta ai giornalisti, che possono sbagliare o decidere di omettere. Detto questo, rileviamo che quando, dieci giorni fa, sempre dalla procura, spuntò un audio che metteva in difficoltà i carabinieri, registrati mentre si auguravano la caduta - e non la morte - di Fares e Ramy, la notizia ebbe il massimo risalto. Finì su tutte le prime pagine, corredata in seguito da commenti di dura critica nei confronti delle forze dell’ordine, malgrado fossero i giorni della liberazione di Cecilia Sala e il notiziario fosse molto più ricco rispetto a questo fine settimana.

 

 

 

In sintesi: se c’è un’indagine in corso a carico dei carabinieri ed essa infiamma le piazze violente e viene cavalcata polemicamente dalla sinistra contro il governo, la grande stampa e la politica progressista reagiscono in due modi opposi. Quando emerge una notizia che scredita le forze dell’ordine, questa viene pompata al massimo; quando invece spunta un elemento che discolpa gli agenti, essa viene censurata o, nella migliore delle ipotesi, declassata a particolare di infima rilevanza. È la stampa, bellezza, quella magica formula, chimica come il pensiero che si traduce in volontà e scopo, dove ideologia e tifoseria manipolano la realtà e umiliano la professione.

Naturalmente, al silenzio dell’informazione, è seguito quello di coloro, dal sindaco di Milano, Beppe Sala, all’ex capo della Polizia, Franco Gabrielli, a troppi altri, che nei giorni scorsi si sono espressi contro i carabinieri, sostenendo che avevano sbagliato. Altri ancora, dopo aver ascoltato gli audio, avevano sostenuto che le forze dell’ordine volessero speronare la moto in fuga.

Probabilmente queste persone non avevano visto il video degli otto minuti, dove si nota che i carabinieri avrebbero potuto più di una volta far cadere i ragazzi e provocare un incidente mortale, ma non lo hanno mai fatto; anzi, quando gli hanno tagliato la strada, in via Moscova, hanno cercato un impatto morbido, che li fermasse senza fargli male. Troppo morbido, come testimoniato dall’audio dell’agente che dice «Accidenti sono rimasti in piedi». Quelle parole sono state usate contro le forze dell’ordine, senza considerare che, se lo scooter fosse caduto in quel momento, Ramy oggi sarebbe vivo.

Quindi i casi sono tre: o la sinistra e i suoi commentatori hanno parlato senza conoscere bene i fatti, o hanno parlato senza conoscere le regole, o hanno parlato in malafede. Delle tre, non ne può andare bene una.

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