Meloni saluta Biden ma ha già conquistato spazio per l'Italia nella nuova Casa Bianca
Giorgia Meloni e Joe Biden si sono parlati ieri. Telefonata d’addio, dovevano salutarsi a Roma, lui voleva congedarsi di persona anche da papa Francesco e Sergio Mattarella, poi non è partito perché Los Angeles brucia.
E' il caso, allora, di riavvolgere il nastro e tornare a quando tutto è iniziato. Era il 29 settembre 2022, il risultato delle elezioni politiche italiane aveva appena fatto il giro del mondo, già si sapeva chi avrebbe guidato il governo dopo Mario Draghi, rispettato e amatissimo a Washington e nelle altre capitali che contano.
DIFFIDENTE
Biden puntava al bis e raccoglieva fondi per la propria campagna elettorale: era convinto che sarebbe stato lui il candidato dei democratici. Per convincere i donatori a mettere mano al blocchetto degli assegni citò il voto italiano come esempio da evitare: «Avete appena visto cosa è accaduto in Italia, in quelle elezioni. Vedrete cosa accadrà nel mondo. Non potete essere ottimisti neppure su cosa accadrà qui». Dunque – era il succo – pagate per la mia campagna elettorale, se non volete che qui vinca Donald Trump, omologo statunitense della leader di Fdi.
Biden e i suoi sponsor sapevano di Meloni quello che raccontavano in giro Enrico Letta e i giornalisti delle grandi testate: l’Italia, Paese fondatore della Nato e della Ue, è finita nelle mani di una leader irresponsabile e pericolosa per l’Occidente e i suoi valori. La diffidenza è durata poco, il tempo di vedere sul campo di che pasta è fatto il capo del governo italiano.
E' andata come meglio non si poteva ed è finita come racconta ieri un comunicato della Casa Bianca: «Il presidente Joseph R. Biden ha parlato con il presidente italiano del consiglio, Giorgia Meloni, per esprimere gratitudine per il ruolo dell’Italia come leader nel G7, nella Nato e nell’Unione Europea. Il presidente Biden ha espresso apprezzamento per il sostegno dell’Italia al popolo ucraino. I leader hanno confermato la forza duratura delle relazioni tra Stati Uniti e Italia».
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La nota analoga diffusa da palazzo Chigi, oltre a evocare la «straordinaria collaborazione» tra i due Paesi, aggiunge che Biden «ha voluto ricordare l’importanza del risultato raggiunto con l’accordo per l’erogazione a favore dell’Ucraina di prestiti per 50 miliardi di dollari, a valere sui profitti derivanti dai beni sovrani russi immobilizzati». La rapidissima trattativa con l’Iran che ha condotto alla liberazione di Cecilia Sala, e che ora mette a rischio l’estradizione dell’ingegnere iraniano Mohammad Abedini Najafabadi, chiesta dagli Stati Uniti, non ha lasciato traccia.
Non è solo una questione di ragion di Stato, che impone ai leader di Paesi alleati di avere buoni rapporti. Biden ha visto che tutto quello che la sinistra raccontava di Meloni non aveva fondamento, e che a guidare l’Italia c’è una conservatrice responsabile, né fascista né sfascista, che – a differenza di tanti suoi predecessori – gioca su un solo tavolo, quello dell’appartenenza atlantica, e ha il pregio della franchezza e dell’affidabilità: se prende un impegno lo mantiene, anche se deve costarle punti di consenso, come probabilmente le è costato l’appoggio a Volodymyr Zelensky.
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AFFIDABILE
I presupposti perché il rapporto diventi ancora più stretto con l’arrivo di Trump alla Casa Bianca ci sono tutti, e vanno oltre l’affinità politica tra i due, che potrebbe essere suggellata dal viaggio di Meloni a Washington il 20 gennaio, giorno dell’insediamento del nuovo presidente (la premier ci sta ancora pensando). Ci sono interessi economici importanti. Gli Stati Uniti, già con Biden, hanno puntato sull’introduzione dei dazi per ridurre il disavanzo commerciale, e Trump, abituato a mettere la pistola sul tavolo prima di ogni trattativa, ha annunciato che intende metterne altri, anche a carico dei prodotti europei.
I grandi gruppi statunitensi della tecnologia digitale, allo stesso tempo, chiedono accesso ai mercati europei, e la barriera principale da superare è la normativa Ue sul trattamento dei dati. Ci sono i presupposti per una sorta di disarmo bilaterale, un accordo di libero scambio tra le due sponde dell’Atlantico che tenga conto delle esigenze di tutti: lo ha proposto Friedrich Merz, leader dell’Unione cristiano democratica tedesca e probabile prossimo cancelliere a Berlino. Sarà uno dei grandi temi del 2025.
Meloni cerca investimenti stranieri da portare in Italia e tra gli imprenditori corteggiati in tutto il mondo non c’è solo il suo amico Elon Musk, ma anche Mark Zuckerberg, presidente e amministratore delegato di Meta, la società che controlla Facebook. Dopo una lunga simpatia per i democratici, costui ha fatto una brusca virata per accostarsi al presidente entrante. Ora, racconta chi segue certi dossier, vuole fare investimenti importanti in data center e produzione di energia (la seconda è necessaria ai primi) in Italia e nell’Argentina di Javer Milei, anche lui politicamente affine a Trump. Nel caso dell’Italia, però, se ne potrà discutere solo se la legislazione europea smetterà di essere ostile al capitalismo digitale made in Usa. Per Meloni, un motivo in più per cambiare la Ue e certe sue regole.