La teoria secondo cui il potere inebria chi ce l’ha deve fare i conti con un’eccezione: Alfredo Mantovano. L’uomo che su mandato di Giorgia Meloni ha mosso i pezzi per liberare Cecilia Sala di potere ne ha tanto.
Glielo danno i suoi incarichi (sottosegretario alla presidenza del consiglio e autorità delegata per la sicurezza della repubblica: la figura che coordina i servizi segreti e dà loro l’indirizzo politico) e la capacità di muoversi nella zona minata all’incrocio tra politica, magistratura, Quirinale e Vaticano, dove tanti ci hanno lasciato la pelle. La sua testa, però, non è cambiata.
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"Esprimo la mia felicità vera per il ritorno di Sala, la stessa che ho provato quando liberammo il giornalis...L’elettore comune, se lo incontra per strada, non lo riconosce. Zero apparizioni in televisione, nessun cedimento alla vanità. «Io sono in silenzio stampa già ordinariamente, figuriamoci in questo caso», ha detto l’altro giorno a chi sperava in una sua reazione sull’offerta di Elon Musk. È l’ennesima variante della frase che ogni giorno ripete ai giornalisti in attesa davanti palazzo Chigi: «Ha parlato il presidente, non serve che parli io». Quando scrivevano che lui e Giovanbattista Fazzolari litigavano sui dossier più importanti, i due si divertivano a leggere insieme quei racconti. Poi hanno smesso di scriverli, si è capito che i tentativi di metterli l’uno contro l’altro non funzionano.
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La liberazione di Cecilia Sala è un grandissimo risultato del lavoro diplomatico dell'esecutivo Meloni. Ed &e...Del resto Mantovano si è scelto un modello difficile, lontanissimo dallo spirito di questo tempo: il beato Rosario Livatino, il giudice siciliano ucciso a 38 anni dalla mafia, il 21 settembre 1990 (...)