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Luca Zaia, il futuro del Doge agita il centrodestra: tutti gli scenari possibili

Pietro Senaldi
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Il Doge è in ritiro, non parla. La conferma che il governo impugnerà, forse già oggi, presso la Corte Costituzionale la legge regionale della Campania, con la quale il presidente Vincenzo De Luca si era aperto la strada a un terzo, e anche a un quarto, mandato consecutivo lo ha incupito. Il Doge altri non è che Luca Zaia, governatore del Veneto da quasi quindici anni, leghista ma di fatto sopra le parti, rieletto l’ultima volta con il 76,8% dei consensi; contava sull’aiuto del collega meridionale per garantirsi anche lui una sorta eternità alla guida del proprio territorio. Il governo però, se non fa sconti allo “sceriffo”, non può fare eccezioni per lui, che con De Luca condivide un destino beffardo: a casa sua è il re, ma la coalizione che dovrebbe sostenerlo non ci tiene che mantenga la corona sulla testa. Le parole di Matteo Salvini, che ha auspicato uno slittamento delle elezioni in Veneto, dal prossimo ottobre alla primavera del 2026, in modo che Zaia possa gestire le Olimpiadi invernali di Milano e Cortina, che ha conquistato con il governatore lombardo Attilio Fontana, sono la conferma che l’avviso di sfratto da Palazzo Balbi è partito.

Strappare per lui un altro anno alla guida della Regione, forzando la mano a Giorgia Meloni e sfidando le opposizioni; altro non può fare il leader leghista per il suo campione. L’addio del Doge, più o meno imminente che sia, apre la questione della successione. La pratica non può essere risolta a prescindere dal governatore uscente, anche se in Veneto, alle Europee del giugno scorso, Fratelli d’Italia ha ottenuto il 37,5% dei consensi, il dato più alto tra tutte le Regioni. Sette mesi fa infatti non correva la Lista Zaia, che l’ultima volta che si è pesata, alle Amministrative del 2020, ha raccolto il 44,6% dei voti, quasi tre volte più della Lega.

 

 

 

PUNTO D’INCONTRO
È evidente che il centrodestra, prima di decidere chi sarà il candidato erede, deve trovare un punto d’incontro con l’attuale presidente. Sulla carta, la soluzione è semplice. Se solo Zaia acconsentisse a correre per il Comune di Venezia, dove già gli stendono tappeti d’oro e si dovrebbe votare il prossimo autunno ma - coincidenza elettorale perfetta - con ogni probabilità le urne slitteranno anche qui alla primavera del 2026, ogni casella si incastrerebbe magicamente. Fratelli d’Italia, a cui la Lega non può non cedere una presidenza tra Lombardia e Veneto, a quel punto punterebbe per Palazzo Balbi su Luca De Carlo, senatore ed ex sindaco di Calalzo di Cadore, sul senatore mestrino Raffaele Speranzon, oppure sul ministro dello Sviluppo e del Made in Italy Adolfo Urso, nato ed eletto a Padova. Salvini avrebbe così modo di conservare la propria Regione, lasciando agli alleati la gestione della patata bollente Milano, città dove gli eredi di Bossi non hanno mai fatto il pieno di voti. Il monzese Massimiliano Romeo si è insediato alla segreteria lombarda della Lega anche con un occhio alla poltrona di Fontana, in scadenza nel 2027.

In politica però non è mai tutto così semplice. Zaia non si è ancora convinto di sbarcare a Ca' Farsetti, in piazza San Marco. Nello scorso fine settimana poi, il segretario regionale veneto della Lega, il giovane Alberto Stefani, da quattro mesi anche vicesegretario federale, ovverosia primo riporto di Salvini nelle gerarchie, ha rilasciato un’intervista al Gazzettino nella quale non troppo velatamente ha opzionato per il partito, e per se stesso, la candidatura alla presidenza. «Il Veneto ci spetta, non per questioni di bandiera ma perché possiamo esprimere la miglior figura in grado di garantire la coalizione» ha dichiarato, ricordando che sul territorio la Lega vanta 159 sindaci e 1.200 amministratori e che «le scelte si fanno in squadra, ma bisogna considerare che alle Regionali i dati sono sempre diversi da quelli delle altre consultazioni».

Un’uscita alla quale ha prontamente replicato per Fdi, su La Stampa, il ministro per i Rapporti con il Parlamento. Pur premettendo che l’unità del centrodestra è un postulato e «nessuno può pensare di spaccare la coalizione», Luca Ciriani ha rivendicato per il suo partito la scelta del candidato: «Mi pare impossibile pensare che non tocchi a noi, visti i numeri e il fatto che la Lega governa già Lombardia, Friuli Venezia Giulia e Trentino». Più conciliante ieri Giovanni Donzelli, responsabile organizzativo di Fdi, il quale ha garantito che «sarà scelto il miglior candidato, senza manuale Cencelli», ma non ha mancato di sottolineare «l’attuale squilibrio» che penalizza i meloniani.

Non è però il fisiologico confronto tra alleati per la scelta del candidato il principale problema adesso per Fdi e Lega, accomunati dalla preoccupazione che Zaia studi un colpo a sorpresa; in altre parole, che con la sua lista rompa in contrapposizione alla coalizione di maggioranza, proprio come è intenzionato a fare De Luca in Campania. Improbabile, perché i caratteri dei due uomini sono diversi e perché, mentre lo sceriffo è all’ultima spiaggia, il Doge ha ancora il proprio futuro nelle sue mani; ma non da escludere. Il sindaco di Treviso, Mario Conte, un aspirante Zaia in erba, lo ha minacciato chiaramente, sempre al Gazzettino: «Se Fdi dice no a Zaia o a un leghista presidente, significa che ha il nostro stesso desiderio di fare una corsa solitaria», sono state le sue parole, per nulla concilianti. Tante le opzioni sul tappeto dunque, se il governatore uscente dovesse scartare la soluzione Venezia.

Una via sarebbe presentare la Lista Zaia a sostegno del candidato di centrodestra e, in caso di probabile successo personale nelle urne, rivendicare per sé la vicepresidenza o un nutrito drappello di assessori di peso. Una soluzione però che andrebbe fatta digerire sia a Fdi sia a Lega, totalmente contrari e difficilmente convincibili, perché si troverebbero a dover gestire una personalità e una forza politica di maggior peso rispetto a loro sul territorio. In realtà il centrodestra auspica che gli uomini della Lista Zaia, e in estrema ipotesi lo stesso governatore, si candidino nella Lega e si spargano anche nelle varie altre liste della coalizione, portandovi i loro voti.

 

 

 

LE TRE FACCE DEL PROBLEMA
Il timore però è che, per quanto ipotesi al momento di scuola, avvenga il peggio, che può avere tre facce. La prima è che, come accennato, Zaia esca dalla coalizione e presenti la propria lista in concorrenza con centrodestra e centrosinistra, affidando la candidatura alla presidenza a Conte, in ascesa e molto apprezzato dai propri elettori, una sorta di Antonio De Caro ma in salsa Liga Veneta. Questo corrisponderebbe alla visione che ormai da tempo il Doge ha di se stesso, come amministratore al di sopra della politica, a cui la Lega sta stretta; e per questo peraltro è da sempre disinteressato a sfidare Salvini.

La seconda, ma siamo nella fantapolitica ed è giustificata solo dal timore che il Doge suscita nel proprio territorio, è che la sinistra, la quale in Veneto non tocca palla, non vuole bruciare i pochi buoni che ha e fatica a trovare un esponente della società civile credibile pronto a immolarsi, finisca per sostenere la Lista Zaia, non solo sfilando la Regione al centrodestra, ma in qualche modo anche intestandosela. Sarebbe il capolavoro di Andrea Martella da Portogruaro, clone un po’ più giovane di Massimo D’Alema nei modi e nell’aspetto, veneziano di recente adozione per sorte avversa senz’assi nella manica, che sogna da sempre di diventare sindaco della propria città e, in questo modo, potrebbe anche riuscirci.

Ancora più improbabile è che invece, come paventato da Stefani più come provocazione che come minaccia, sia la Lega salviniana a rompere la coalizione, candidando contro la sinistra e Fdi proprio il segretario regionale. In Veneto infatti i leghisti hanno sempre rivendicato autonomia e centralità, ma non sono mai arrivati a far saltare il tavolo; con Zaia fuori dai giochi peraltro, la sfida sarebbe mortale. Inoltre, nel caso il vicepremier si impuntasse in sede di trattativa, piuttosto che dividere la maggioranza la destra lascerebbe all’alleato la Regione e chiederebbe in cambio Venezia e la candidatura per la Lombardia.

 

 

 

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