Scurati, Marinelli e Mussolini: operazione di marketing spacciata per rieducazione del popolo
Signori, volete capire il fascismo, volete comprendere chi sia stato davvero Mussolini? Ma non affannatevi a leggere Renzo De Felice o Denis Mack Smith o, figuriamoci, qualche pagina di James Gregor. E se anche voleste scendere di livello, scartate le Memorie del cameriere di Mussolini Quinto Navarra. Ritagliatevi le interviste del 6 gennaio su Corriere e La Stampa di Luca Marinelli, talentuoso attore che ora dà volto al Duce nella serie tv tratta dal romanzo “M.” di Scurati (dal 10 gennaio su Sky).
Due sono gli “elementi di forza” dell’interpretazione del fascismo di Marinelli: l’essersi abbeverato alle pagine di Scurati e l’avere una nonna che l’ha iniziato al verbo antifascista. Con imperiosa forza di sintesi il nostro emette il verdetto definitivo: «Mussolini per me era un criminale». Ecco, appunto, gettare nel cassonetto dunque i mille titoli che ogni anno vengono pubblicati in Italia sul fascismo. Non ci servono. Ora abbiamo le fiction e i Marinelli. E dietro le fiction abbiamo i polpettoni storici di Scurati. E dietro questi e quelli abbiamo abili operazioni di marketing che l’attore del momento (studente con scarso profitto) vuole spacciarci come rieducazione antifascista del popolo italiano.
Ora, neanche vale la pena soffermarsi su ciò che si dice di Mussolini e il fascismo nelle interviste citate così come non vale la pena smantellare la visione scuratiana del Duce (il suo romanzo “M.” fu del resto mirabilmente stroncato da Galli della Loggia, storico di professione). Basti qui citare il modo in cui viene “reso” dalla serie su Mussolini il discorso del 3 gennaio 1925: «Ma il fascismo è violenza. Il fascismo è il dominio della forza. È la volontà di pochi che si impone sulla volontà di molti. È sopraffazione. È arbitrio. È la legge del più forte. È odio. È eccitazione della massa. È rabbia. È il disprezzo della debolezza, del dubbio». Ecco invece uno stralcio del vero discorso del 3 gennaio 1925: «L’Italia, o signori, vuole la pace, vuole la tranquillità, vuole la calma laboriosa; gliela daremo con l’amore, se è possibile, o con la forza se sarà necessario. Voi state certi che nelle 48 ore successive al mio discorso, la situazione sarà chiarita su tutta l’area. E tutti sappiamo che non è capriccio di persona, che non è libidine di governo, che non è passione ignobile, ma è soltanto amore sconfinato e possente per la Patria».
Dunque gli attori fanno anche la lectio magistralis. La finzione, la recita, la sceneggiatura, la fiction si sostituiscono alla storia, alla sua prudente, meticolosa e paziente opera di interrogare i morti. Qui si fanno esorcisimi, qui si impone l’alta missione della fiction capace di aiutare gli italiani a “colmare la loro ignoranza”. La serie sul Duce l’hanno vista in anteprima 500 studenti. Che esperienza estatica! Aboliamo la storia dai programmi scolastici. Saranno Warner, Sky, Netflix e Prime a spiegarci il nostro passato . Altro che Grande Fratello. È il tecno-antifascismo contro la tecnodestra. Mica potete scegliere. Dovete solo essere indottrinati. Marinelli spiega a Veltroni l’uso politico della triade Dio Patria e Famiglia: «In realtà, tre grandi inganni lo vediamo nella serie. Mussolini non crede in Dio, anzi lo provoca: durante un comizio disse “Signore fulminami adesso, ti do solo un minuto” e cominciò a guardare l’orologio. La famiglia la vediamo, lui ha amanti da tutte le parti, figli non riconosciuti ovunque. Patria? Mussolini ha un disprezzo totale per le persone. Tre grandi inganni usati dalla politica. Ieri come oggi». Capito il parallelismo? E se non capite siete scemi.
Eppure il mestiere dello storico spetterebbe ad altri, come al grande Marc Bloch (che prese parte alla Resistenza francese) per il quale la storia è «scienza del mutamento, essa sa e insegna che mai si ripresentano due eventi del tutto simili». La storia è anche punto di vista. Henri Pirenne a fine corso introduceva nell’aula un ussaro in grande uniforme e poi, dopo averlo fatto uscire, chiedeva agli studenti di descriverlo. Ne venivano fuori ritratti tutti diversi, nessuno identico all’altro. Ci vuole mestiere per districarsi nelle testimonianze. Le nonne lasciamo che raccontino favole.