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Alessandra Todde decaduta per i troppi errori grillini: ecco perché la sinistra non riuscirà a salvarla

Pietro Senaldi
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La premessa è che la vicenda della decadenza dalla carica di presidente della Sardegna di Alessandra Todde è ingarbugliata, si annuncia di non breve soluzione e ha tutte le caratteristiche per diventare un caso pilota dei rapporti tra politica e magistratura. La governatrice grillina è decaduta da venerdì scorso, in forza di una sentenza della Corte d’Appello di Cagliari che l’ha dichiarata tale come pena accessoria alla sanzione amministrativa di 40mila euro comminata per «le molteplici irregolarità» riscontrate nella documentazione delle spese elettorali e per la «totale inosservanza» della legge sarda che norma le votazioni per il Consiglio Regionale. La decadenza è la conseguenza della mancata eleggibilità a consigliere regionale - presupposto indispensabile, secondo lo statuto dell’isola, per fare il governatore -, dovuta alla violazione delle norme che regolano le candidature.
Subito l’opposizione ha chiesto le dimissioni della presidente, eletta con sole tremila preferenze nominali di vantaggio malgrado il campo largo delle sinistre abbia ottenuto ben 40mila voti meno del centrodestra.

Incompetenza, sciatteria, disinvoltura nell’ignorare le regole da parte di uno schieramento ultra legalitario e sempre pronto a processare i rivali per ogni sfumatura sono le accuse portate da tutto il centrodestra, con il parlamentare sardo di Forza Italia Pietro Pittalis in prima fila nelle contestazioni. Per risposta, la sinistra si è chiusa a riccio. Tacciono il leader di M5S, Giuseppe Conte, e quello del Pd, Elly Schlein. Si finge che il problema non esista e si manda avanti Todde, che rilascia interviste in cui si dice «tranquilla e stupita», giura di aver «presentato la documentazione nei tempi previsti» e si dichiara «legittimata ad andare avanti finché il provvedimento di decadenza non sarà definitivo».

 

In realtà, motivi per essere sereni non ce ne sono. La governatrice infatti rischia anche di essere indagata per falso per una fattura non depositata e dichiarazioni contraddittorie sulla provenienza di alcuni contributi elettorali. È partito poi il processo interno, che presto diventerà pubblico, a Ettore Licheri, arrangiato nipote di Sante, il compianto giudice di Forum. Il parlamentare grillino coordinava il comitato elettorale della candidata presidente e il gioco del campo largo adesso è utilizzarlo come capro espiatorio, rappresentarlo come un pasticcione e dargli tutte le colpe per le sette contestazioni che la Corte d’Appello ha mosso a Todde, in modo da salvare lei e il governo dell’isola. Deve averlo capito anche lui, che pare essersi eclissato.

Nell’ingarbugliata questione, meglio mettere a fuoco le poche cose sicure. La Regione tornerà dalle lunghe vacanze di Natale con una presidente formalmente ancora nei pieni poteri, perché la decadenza deve essere ratificata dal Consiglio Regionale, ma politicamente dimezzata, in quanto il provvedimento è immediatamente esecutivo; il che significa che tutta l’azione di governo si svolgerà sotto la spada di Damocle che da venerdì scorso pende sulla legittimazione di Todde. I suoi legali stanno lavorando pertanto per presentare quanto prima una richiesta di sospensiva del provvedimento della Corte d’Appello e per scrivere il ricorso al tribunale contro la decisione dei magistrati di Cagliari, da depositare entro novanta giorni. Per quanto queste pratiche seguano una corsia preferenziale, il tribunale non si pronuncerà prima di primavera inoltrata. Nel caso la condanna fosse confermata, Todde ricorrerebbe in Cassazione e quindi la parola ultima dei giudici sulla sua decadenza arriverebbe fatalmente dopo l’estate. Fino ad allora la Regione resterà nel caos amministrativo.

Parallela alla giustizia, si muove la politica. Domani si riunirà la giunta per le elezioni sarda, con quattro consiglieri dell’opposizione e cinque della maggioranza, la quale ha novanta giorni di tempo per esprimere il proprio parere sulla decadenza al Consiglio Regionale, che ha il compito di ratificare la sentenza dei magistrati. Il presidente dell’Assemblea è del Pd e ha già fatto intendere che tergiverserà. L’obiettivo è prendere tempo, malgrado il pressing del centrodestra, per attendere una decisione definitiva della magistratura, facendosi forti di una sentenza della Corte Costituzionale in base alla quale il Consiglio Regionale può esprimersi solo se e quando la decadenza diventerà definitiva dal punto di vista giudiziario.

Il punto decisivo però, che divide la politica e sul quale perfino i costituzionalisti hanno pareri divergenti, è se a quel punto il Consiglio Regionale sia obbligato ad asseverare la decisione definitiva dei magistrati, e quindi il suo parere sia solo un passaggio formale, oppure possa ribaltarla, mantenendo in carica Todde e inscenando una conflitto di poteri. Siccome è un caso pilota, non c’è uniformità di giudizio. Il professor Stefano Ceccanti si appella allo Statuto sardo, che dà al Consiglio Regionale la parola ultima sulla decadenza. Ma altri giuristi, come Giovanni Guzzetta, fanno notare che il Consiglio Regionale non è un organo costituzionale, come invece lo sono le Camere, e pertanto «non si possono intendere i suoi poteri in modo analogo a quelli del Parlamento». L’assemblea sarda quindi avrebbe «margini di valutazione alquanto ristretti» spiega il costituzionalista, ricordando che «le sue deliberazioni sono impugnabili davanti al giudice ordinario». Il che fa supporre che il rifiuto della decadenza potrebbe essere contestato dalle opposizioni preso il Tar.

In ogni caso, due cose sono sicure: se Todde venisse condannata per falso, decadrebbe automaticamente in base alla legge Severino e l’argomentazione del fronte progressista in base alla quale la decandenza sarebbe anti-democratica perché andrebbe contro al volere degli elettori è insensata, in quanto alla base della democrazia c’è il rispetto della legge e delle forme, che sono fatte apposta perché i cittadini possano votare in trasparenza, libertà e in condizioni di diritto rispettate.

 

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