Cabaret Mussolini
Il Cabaret Mussolini è aperto, le reazioni da crisi isterica alla nostra prima pagina di fine anno hanno anticipato il cartellone di “eventi” che vedremo nel 2025, a 80 anni dalla Liberazio- ne: l’ossessione della sinistra per «le destre» che hanno vinto le elezioni, la farsa dell’allarme democratico contro l’onda lun- ga del mussolinismo meloniano, l’organizzazione della resistenza aperitivante al Grand Hotel Quisisana a Capri, speciali televisivi sulla dittatura morbi- da di Giorgia, un pensoso forum europeo sulla “tecnodestra” e l’Internazionale Sovrani- sta, un ciclo di lezioni sull’insidia autoritaria della motosega di Milei, il festival del fascismo degli antifascisti, la malattia che Leonardo Sciascia aveva diagnosticato con lucidità: «Il più bell’esemplare di fascista in cui ci si possa oggi imbattere è quello del sedicente antifasci- sta unicamente dedito a dare del fascista a chi fascista non è».
Senza leggere una sola riga - su cinque pagine dove abbia- mo raccontato l’ossessione del- la sinistra per il fantasma del Duce e la conseguente scelta di farne per contrappasso l’uomo dell’anno - come il cane di Pavlov la muta antifascista è scattata, ringhiando e schiumando, alla caccia del direttore di Libe- ro. I piccoli Torquemada della comicità si sono superati: c’è chi ha proposto molto democraticamente di appiccare le fiamme alla nostra redazione, chi ci ha appeso a testa in giù per darsi un tocco di eleganza retrò, chi ha invocato l’intervento della magistratura e se proprio i giudici non ce la fanno a trovare un capo d’accusa, che si muova la buoncostume, ma che dico, la polizia morale iraniana.
Il Cabaret Mussolini prescinde dai fatti, dai contenuti, dalla verità, dalla conoscenza, va in scena in un’altra dimensione, ai confini della realtà, è la paranoia della presenza del fascista ovunque che fa salire il sangue al cervello del democratico assolutista che urla, impreca, invoca Marx e Scurati, va in esilio al bar di fronte, poi concede un’intervista e rutta sui social.
Se non sei di sinistra, sei fascista, è l’equazione dell’antiFa contemporaneo che pensa di essere il nuovo Hegel. Il nostro caso che non c’è è soltanto una nota a margine in cronaca, ma sul piano storico, quello ben più alto, niente è cambiato. Mi è venuto in mente Renzo De Felice, la violenza con cui fu accolta la sua «Intervista sul fascismo», il livore ideologico con cui fu liquidata l’intera sua opera, l’impegno dello studioso fuori dalla camarilla comunista che su Italia contemporanea (la rivista dell’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia) nel 1975 marchiò il lavoro di De Felice con questo titolo: «Una storiografia afascista per la maggioranza silenziosa», un articolo che serviva a demolire De Felice, «colui che rischia di passare per lo storico per antonomasia del fascismo», colpevole di essere l’esponente di punta del «centrismo storiografico», liquidato con disprezzo come «qualunquismo». Sono passati decenni e il clima è sempre quello, con l’aggravante di una decadenza dell’accademia e della politica che a sinistra produce fenomeni da baraccone. Non vanno presi sul serio, ma proprio per questo sono pericolosi: nuotano nell’ignoranza e non sanno quello che fanno.