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Open Arms, I vescovi la prendono malissimo. E si scagliano contro i giudici

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L’assoluzione di Matteo Salvini «perché il fatto non sussiste» è anche una brutta sconfitta dei vescovi italiani. Che come tale l’hanno presa: dunque malissimo. La prima pagina di Avvenire di ieri, con quel titolone sull’«Ardua sentenza», accanto a un editoriale che non avrebbe sfigurato su Repubblica (sinistre somiglianze, ieri, tra le tesi dell’uno e dell’altra), è lì a dimostrarlo. Di certo è una linea coerente.

 

 

All’epoca, la Conferenza episcopale italiana era stata in prima fila nello stigmatizzare il comportamento dell’allora ministro dell’Interno. Erano i giorni dell’agosto 2019, quelli in cui il comboniano Alex Zanotelli, commentando il braccio di ferro di Salvini con le navi delle ong, disse che «non ci si può dichiarare cristiani e votare Lega», e dalle gerarchie della Chiesa nessuno intervenne per spiegare a lui e ai fedeli quanto bestiale fosse quella scomunica alla vaccinara (tutto fa credere, semmai, che molti condividessero). Al culmine degli eventi, il 17 agosto, Avvenire, il quotidiano della Cei, definì «ostaggi» i 138 migranti a bordo della Open Arms. Anticipando così, insieme all’opposizione di sinistra, l’accusa di sequestro che poi sarebbe stata mossa dalla procura. Non fu un fulmine a ciel sereno. Pochi mesi prima – ma è solo uno dei tanti episodi – il cardinale Gualtiero Bassetti, allora presidente della Cei, aveva accusato la Lega di «evocare discorsi sulla razza che pensavamo fossero sepolti definitivamente». E ancora prima, nell’agosto del 2018, c’era stato lo scontro sul caso della Diciotti, nave della Guardia costiera con oltre cento migranti a bordo. Anche quella volta il nome di Salvini era stato iscritto nel registro degli indagati e i vescovi e la loro testata, diretta da Marco Tarquinio (candidatosi alle Europee di quest’anno nelle liste del Pd, senza stupore per nessuno) avevano fatto campagna contro di lui, colpevole di «fare politica sulla pelle dei poveri».

Nel novembre del 2019 provò a mediare il cardinale Camillo Ruini, ex presidente della Cei. Invitò gli altri presuli a confrontarsi con Salvini, anziché dargli addosso pure quando baciava il rosario: «Non condivido l’immagine tutta negativa di Salvini che viene proposta in alcuni ambienti. Il dialogo con lui mi sembra doveroso». Appello inascoltato: il capo della Lega, pur votato da tanti cattolici, non ha smesso di essere il bersaglio preferito delle gerarchie vescovili e dei loro organi di stampa. In campagna elettorale, quando usò sui manifesti la parola «Credo», e poi come ministro dei Trasporti del governo Meloni, accusato da Avvenire di condurre «la odiosa campagna contro le Ong». Si capisce, insomma, perché il verdetto dei giudici palermitani sia stato tanto sgradito. È rarissimo che il quotidiano della Cei contesti l’operato dei magistrati italiani, eppure ieri lo ha fatto con la maggiore evidenza possibile, lasciando capire come la si pensi dalle parti di Matteo Zuppi (certo che non è il presidente della Cei a scrivere i titoli e gli articoli di Avvenire, ma è vero pure che il giornale non prende una posizione così netta su un argomento simile se non rispecchia quella della proprietà).

Così la sentenza che ha scagionato il leader leghista da ogni accusa è bollata come «ardua» nel titolo più importante della prima pagina. L’editoriale spiega a lettori e fedeli che «ci sono vicende in cui la verità processuale e quella fattuale confliggono». E anche se «il verdetto stabilisce che il ministro Salvini non ha commesso i reati di sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio», i fatti «raccontano che quello fu un affronto all’umanità». Il problema, quindi, pare annidarsi nelle leggi e nei tribunali italiani, che non condannano simili crimini.

Significativo anche il commento dell’associazione cattolica siciliana Don Bosco 2000, che il Sir, l’agenzia stampa dei vescovi, ha pubblicato con evidenza sul proprio sito. «Rispettiamo quanto stabilito dai giudici, ma non possiamo nascondere la nostra delusione», dicono i responsabili dell’associazione, secondo i quali la decisione dei giudici palermitani «sembra giustificare l’indifferenza verso chi lotta per sopravvivere». Compito delle istituzioni, ammoniscono, è ora «riflettere sulle conseguenze di questa sentenza». Lontanissimi i tempi di Paolo di Tarso, che nella Lettera al discepolo cretese Tito scriveva, a proposito dei doveri dei buoni cristiani: «Che siano sottomessi ai magistrati e alle autorità, che siano ubbidienti».

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