Atreju, quella normale dialettica che spaventa la sinistra
Il discorso di chiusura di Atreju pronunciato da Giorgia Meloni è stato accolto con disappunto e sopracciglio alzato. La replica della premier alla Camera anche. Addirittura si è parlato di toni “mussoliniani”, di “attacchi isterici”, di postura non istituzionale. Al solito. Si è detto che Meloni è andata all’assalto dei “nemici”: Landini, Prodi, Saviano, Schlein. A nostro avviso non si addice a questi quattro la categoria di “nemico”. Il nemico vero della destra meloniana è l’immobilismo, la difesa dello status quo facendosi scudo della Costituzione più bella del mondo e della retorica tardiva dell’antifascismo. Ma torniamo allo scandalo con cui è stata accolta l’elencazione dei presunti “nemici”.
C’è davvero da indignarsi? O non è forse proprio la dialettica amico-nemico la categoria che rende tale la sfera politica sulla scorta della lezione di Carl Schmitt? Un’annotazione venuta fuori in un dibattito televisivo su La7 da parte di Luigi Manconi. Citazione troppo colta per un talk e subito stigmatizzata da Claudio Martelli: «Non citare Schmitt che era un nazista...». Chissà come l’avrebbe presa un Cacciari, tale esortazione, il quale però non era presente. Va detto che non tutti a sinistra hanno subìto il fascino di Schmitt: per esempio Gianfranco Pasquino non a torto ha fatto notare che, rispetto alla complessità della politica moderna, le categorie del politico elaborate dal pensatore tedesco erano troppo semplificate. Tornando a Meloni in sostanza la si accusa, lei che è una leader politica, di aver fatto qualcosa di molto politico, anzi di avere seguito l’essenza della politica e cioè, sempre per dirla con Schmitt «indicare l’estremo grado di intensità di una separazione o dissociazione». E dunque individuare lo hostis.
La vera politica è fatta di "conflitti" di idee: cosa si è dimenticato in Italia
Prescindiamo dalle lagne di un Saviano per essere stato citato nel discorso della premier. Per tutti gli altri la categoria definita da Schmitt è stata utilizzata contro Giorgia Meloni. Anche loro si avvalgono della dialettica amico-nemico per definire il loro campo di azione e quello avversario. Secondo il pensiero schmittiano in ciò non dovrebbe esserci né odio, né ira: il nemico non deve essere necessariamente cattivo o brutto, semplicemente è l’altro con cui la sintesi dialettica è impossibile. Analisi che nel giurista tedesco (processato e assolto a Norimberga, tanto per essere chiari) non ha alcuna valenza etica o estetica ma semplicemente “descrittiva”. E che diventa tanto più evidente quanto più all’interno di uno Stato lo scontro tra fazioni si svolge in un clima di radicalità. Il che è proprio ciò che sta accadendo da noi.
Julien Freund, studioso a sua volta di Schmitt e come lui esponente della corrente del realismo politico, intervistato nel lontano 1979 da Gennaro Malgieri parlava di politica debole a proposito di quei partiti che in nome del “pluralismo” vogliono far credere che non esistono più nemici. “«Il comunismo esiste – diceva Freund – il cristianesimo anche, ugualmente l’islam e le altre ideologie. Se non esiste pluralismo di valori esiste una pluralità di sistemi di valori, fondata a sua volta su un’altra gerarchia di valori». Tutto questo per dire che quando da sinistra si indica in Giorgia Meloni l’artefice di una involuzione autoritaria si sta già dentro la dialettica amico-nemico così come, in precedenza, si indicava in Matteo Salvini l’esponente della disumanità contro il presunto umanitarismo dello schieramento progressista.
Ciò che rende a sinistra poco tollerabile la scelta del nemico di turno è semmai la pretesa di ammantare di moralismo tale scelta, che è e resta tutta politica. Distinguendo tra buoni (loro) e cattivi (tutti quelli che non la pensano come loro). Ciò ovviamente non può e non deve escludere il confronto, che sempre dev’essere rispettoso e civile, anche per non dare cattivi esempi ai cittadini che non sono – come per la sinistra che segue Rousseau - “buoni per natura” – ma sono, sulla scia del pensiero tragico di Hobbes, pensatore cui Schmitt è debitore, esseri umani le cui pulsioni vanno governate.
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