La vera politica è fatta di "conflitti" di idee: cosa si è dimenticato in Italia
Ieri alla Camera Giorgia Meloni e Giuseppe Provenzano se ne sono dette di tutti i colori. Ma non c’è giorno che, in aula o fuori, non si assista a feroci diatribe e ad accuse reciproche fra le forze di maggioranza e quelle di opposizione. È un segno del degrado del nostro dibattito politico o di vitalità democratica? Non ho dubbi. Fermo restando il rispetto che non dovrebbe mai mancare e che la sinistra molto spesso dimentica, con quel tale rispondo: “la seconda che hai detto”. Grazie alla destra al potere in Italia è infatti tornata finalmente sulla scena la politica, e quindi anche il conflitto: fra idee, interessi, visioni del mondo contrapposte.
Per anni, con il predominio del cosiddetto deep state o anche con i governi tecnici, il conflitto era stato sterilizzato, annacquato, espunto dalla politica, la quale aveva in questo modo perso la sua essenza che è basata sulla contrapposizione schmittiana fra amico e nemico. O meglio, con riferimento alla politica democratica, sulla contrapposizione fra avversari diversamente pensanti. La democrazia esige infatti sì il rispetto delle regole del gioco e quello della dignità dell’avversario, ma essa semplicemente non sarebbe senza una sana ed anche aspra dialettica fra le forze politiche. In Italia si è purtroppo affermata negli anni una narrazione che ha visto il conflitto politico come qualcosa di negativo, destabilizzante, di deleterio per la coesione e l’unità del corpo sociale. Si sono perciò pretesi tavoli di concertazione, “patti sociali”, accordi preventivi, anche là dove non erano assolutamente necessari. Ogni volta che questo governo fa passare un provvedimento non gradito all’opposizione non sono in pochi a gridare alla “deriva autoritaria”, “trumpiana”, “fascista”.
«Non si può decidere a semplice maggioranza», si dice, come se esistesse un altro modo di decidere in democrazia (ove, come è noto, le teste si contano e non si rompono, come nelle dittature). Il consociativismo della Prima Repubblica non ha certo dato buona prova di sé, né poteva essere diversamente. Eppure, la nostalgia per esso traspare dalle continue richieste di “non divisività” che arrivano da più parti, segno di una carenza di cultura democratica. Se opposizioni e maggioranza si confondono in un quid indistinto, diventa difficile imputare ad una precisa forza politica una decisione presa. In questo modo, il cittadino, a cui in ultima analisi spetta la sovranità, non potrà giudicare con precisione l’operato di un governo, confermandolo o mandandolo a casa al momento del voto.
Senza contare che, più nello specifico, la “non divisività” ha sempre giocato a favore della sinistra, la quale, convinta di essere a priori dalla parte della verità, l’ha interpretata come una “naturale” convergenza della destra sulle sue posizioni. Essa ha sempre affermato che in Italia non c’era una “destra normale”, ma si capiva che alla fine quella che essa considerava tale era una destra che si travestisse da sinistra. Cosa che, in verità, la destra spesse volte non ha esitato a fare, mostrando un complesso di inferiorità che l’ha resa, anche culturalmente, succube. Il conflitto, inteso secondo la migliore cultura liberale come concorrenza e competizione, è ovviamente ben altra cosa dalla violenza politica, così come dagli appelli alla “rivolta sociale”, o ancora dalla pervicace mostrificazione e degradazione morale dell’avversario operata ancora oggi dalla sinistra.
Quanto invece all’ “armonia”, essa non è mai stata un valore per le società occidentali fondate sulla libertà e responsabilità individuale. Non a caso la si trova come ideale in società storicamente stabili ma dispotiche tipo quelle orientali. Fa poi specie che proprio in Italia, che pure è la patria della Politica, ci si sia dimenticati con troppa facilità dell’insegnamento di Machiavelli, secondo cui le lotte sociali furono la base su cui prosperò Roma ai tempi della Repubblica, mentre la decadenza si avvertì e prese piede quando l’Impero pretese di rendere tutto omogeneo e uniforme.
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