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Tony Effe? Il Pd conferma di avere un problema con le donne: un caso a Roma

Brunella Bolloli
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Il problema non è Tony Effe. È uno dei cantanti trap del momento e i suoi testi spopolano tra le nuove generazioni sebbene uno dei più gentili suoni così: «Effe, perché il mio cognome è Fendi. Tony, perché vendevamo i pezzi. Sosa, perché viene dalla Colombia. Baby, perché piaccio alla tua troia». Tony Effe è quello di Sesso e samba (con Gaia), delle controversie con Bello Figo, del dissing contro Fedez, del corpo ricoperto di tatuaggi (ha pure una Madonna sul bicipite), dei precedenti per rissa e dello scandalo facile. A suo modo fa spettacolo, infatti l’hanno assoldato per il prossimo Festival di Sanremo sperando di catturare l’ascolto dei giovanissimi.

Ma Tony Effe ora è soprattutto la star che il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, ha chiamato sul palco del concertone di Capodanno solo che i fuochi d’artificio sono già cominciati. «Testi misogini, volgari e sessisti», si sono scatenate le consigliere di Azione, non parliamo delle elette del centrodestra, ma poi ci sono le associazioni che lottano contro la violenza (Differenza Donna), le sigle femministe, una parte della stessa sinistra che tuona contro la scelta di Gualtieri, diviso tra le inaugurazioni di piazze per il Giubileo e le madonne di Effe. In breve la polemica è diventata nazionale e un Pd alle prese con la ricerca del centro e di un federatore che non c’è, si è pure perso la bussola del Circo Massimo e della questione femminile, per cui adesso il Comune è costretto a chiedere al trapper di non andare.

 

In Campidoglio forse qualcuno aveva già immaginato il caos che la presenza dell’artista avrebbe suscitato, infatti il sindaco si era premurato di dichiarare, un paio di giorni fa, che sui maxi schermi «saranno proiettati video della campagna #Nessunascusa contro la violenza di genere, realizzata in occasione del 25 novembre, per ribadire che il nostro deve essere un impegno quotidiano e concreto». In pratica il trionfo dell’ipocrisia: sul palco si sarebbe esibito un cantante che nei testi è feroce contro le ragazze, mentre i video mandavano le foto delle vittime di stupro o femminicidio. Di chi sia stata questa geniale pensata non è dato sapere. I sospetti ricadono sul sindaco dem, osteggiato pure dalle stesse compagne di partito. E a poco serve l’ultimo post di Tony: «Amo tutte le donne, ci vediamo il 31 dicembre».

La vicenda riporta alla luce la questione femminile, uno dei talloni d’Achille di un Pd che nonostante abbia schierato una segretaria donna, dopo gli errori del passato, continua a perseverare. Si professa femminista, attacca Giorgia Meloni perché non bada abbastanza alle desinenze, fa battaglie lessicali e poi si perde dietro a un testo di un trapper. È vero che i brani di questo giovanotto inneggiano alla prevaricazione e rappresentano tutto il peggio che le campagne anti-violenza professano ogni anno, specie in prossimità del 25 novembre, Giornata contro l’eliminazione della violenza sulle donne.

 

Un appuntamento che quest’anno è stato caratterizzato dalle polemiche per una frase del ministro dell’Istruzione: inopportuna perché pronunciata mentre si ricordava Giulia Cecchettin. L’opposizione ha sollevato un polverone. I giornali e i media mainstream sono andati avanti per giorni con la storia del «patriarcato». E le signore dem, accipicchia com’erano indignate. Adesso, a parlare di «scelta scellerata» e a pretendere una retromarcia dal sindaco Gualtieri sono proprio le donne. Finora, però, non si è sentita la Boldrini, paladina della a in fondo al nome, né le altre compagne sempre attente al politcamente corretto. Forse erano distratte, più preoccupate di attaccare l’inquilina di Palazzo Chigi che a far notare al proprio partito che non basta proiettare sui maxi schermi gli slogan della campagna contro la violenza sulle donne, se poi si offre la ribalta (magari pure con un sostanzioso cachet) a chi se ne frega di quei video e della storia di tante ferite o uccise da un compagno violento e incapace di amare.

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