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Ruffini, Mister Fisco in campo a sinistra con la benedizione di Prodi

Elisa Calessi
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«Dobbiamo ascoltare, dare voce alle persone». Comincia con queste parole, apparentemente di basso profilo, Ernesto Ruffini, ora direttore delle Agenzie delle Entrate, ma da settimane osservato speciale di chi, soprattutto a sinistra, è alla ricerca di una personalità capace di ricomporre la diaspora centrista e magari il centrosinistra, rifacendo il miracolo che, ormai quasi vent’anni fa, fece Romano Prodi (non a caso grande amico e principale sponsor di Ruffini).

Siamo all’Università Lumsa, sala Giubileo, a due passi da San Pietro (il luogo scelto è già un programma). Il seminario è a porte chiuse, ma è girato di chat in chat. Ha un titolo significativo: Dopo Trieste, in cammino per andare dove?. Dove “Trieste” sta per la settimana sociale dei cattolici che si è tenuta, appunto, nel capoluogo friulano nella prima settimana del luglio scorso. Con lui, ci sono anche padre Francesco Occhetta, gesuita, già direttore di Civiltà Cattolica, teologo, ora segretario generale della fondazione Fratelli Tutti, molto attento alla necessità di una presenza di politici cattolici e grandissimo amico di Ruffini, e Giuseppe Fioroni, ex ministro dell’Ulivo, ultimo e fedele custode degli scampoli di centro cattolico che una volta erano nella Margherita, poi in via sempre più residuale sono rimasti nel Pd. A introdurre il dibattito è Lucio D’Ubaldo, braccio destro di Fioroni, ex senatore dell’Ulivo, ora direttore de Il Domani d’Italia. Ruffini si schernisce rispetto alle voci, sempre più insistenti, che lo danno come il nuovo Prodi. «Lasciatemi sgombrare da subito il campo da un equivoco di fondo», dice. «Non è la prima volta che partecipo a occasioni di questo genere. L’ho sempre fatto e continuerò a farlo, senza togliere nulla al lavoro che sto svolgendo in Agenzia».

 

 

 

CORRESPONSABILITÀ

Non è interessato, dice, «ai talent show e alle nomination», a cui anche la politica sembra volersi conformare.
«Quasi ormai rassegnati all’idea di un Paese o di una democrazia che possa essere salvata da una persona o da un nome. Senza neanche aver chiara quale sia l’idea di Paese che abbiamo in mente». Non esistono, in politica, Messia o salvatori della Patria. «Ecco, questo modo di vedere e affrontare la realtà non appartiene alla mia cultura e nemmeno direi alla cultura e all’esperienza cattolica di cui oggi parliamo». Non smentisce, però, che sia interessato a un impegno politico più diretto. «Il Paese», dice, «appartiene a tutti e tutti siamo chiamati a occuparcene. Ognuno nel tempo e nel luogo in cui si trova». E forse quel tempo è arrivato anche per lui. «In questi anni», continua, «sono due le parole che mi hanno sempre interessato», parole «che ci restituiscono l’idea che la politica riguarda tutti». Le cita: «Bene, che parla del bene come qualcosa di possibile, e bello oltre che giusto» e poi «Comune, che ci parla di più di ciò che ci unisce, di ciò che abbiamo in comune invece che di ciò che ci divide». In nuce, c’è già un programma. Forse uno slogan. E ancora. «La politica non è un gioco di potere e nemmeno un gioco di società», non è una «sfida tra persone per trovare chi meglio incarna (magari per lo spazio di un mattino) il ruolo di salvatore della Patria o di uno schieramento». Perché «non c’è salvezza senza corresponsabilità».


Ed è proprio quello che in tanti, qui, ma non solo, aspettavano di sentire. Non un uomo solo al comando, ma un federatore che si richiami ai fondamentali dell’impegno politico così come la Dottrina sociale lo disegna: un servizio al bene comune. Siamo agli inizi. Ruffini tasta il terreno, incontra, lancia sassi. Poi si vedrà. Sono in tanti, però, a incoraggiarlo perché faccia il grande passo. Da Prodi, che vede con crescente preoccupazione la traiettoria radicale che sta imboccando il Pd, a Dario Franceschini, che pure è stato il primo sostenitore di Schlein. E poi Graziano Delrio, Pierluigi Castagnetti, Peppe Fioroni, Rosy Bindi.

 

 

 

FEDERATORE

Potrebbe essere lui il federatore di quella gamba di centro di cui ha parlato Goffredo Bettini e che non dispiacerebbe nemmeno a Elly Schlein. E magari il federatore di un centrosinistra. Per molti, è l’uomo giusto. Del resto, il pedigree è perfetto: figlio di Attilio (partigiano e poi vice segretario della Dc, oltre che più volte ministro), nipote del cardinale e arcivescovo di Palermo Ernesto Ruffini, fratello minore del giornalista Paolo, prefetto del Dicastero per la comunicazione della Santa Sede, dopo essere stato uno stimatissimo direttore di RaiTre. Ed è stato uno dei volti delle prime Leopolda.

L’idea del fisco amico e digitale fu raccontata proprio dal palco del primo ritrovo inventato da Matteo Renzi (era il 2010). Del resto fu lui, una volta diventato premier, a nominarlo all’Agenzia delle Entrate. Ma il centrodestra lo ha confermato, segno degli ottimi rapporti trasversali che si è costruito. «È un uomo competente, intelligente e che sa farsi volere bene», dicono di lui. Dai gesuiti ai renziani, dalle Acli (suo amico è anche Emiliano Manfredonia) ai cattolici democratici, ora orfani di una guida.
Per ora lui guarda, ascolta, incontra. Ma il momento del salto, da civil servant a politico, si avvicina.

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