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Compagni senza vergogna: la proprietà privata è sacra soltanto se è la loro
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Oggi Libero vi racconta due storie legate alla casa, all’abitare, al mattone. E cosa le tiene insieme? L’eterno adagio del tipico comunista nostrano: “Caro compagno, quello che è tuo è mio, ma quello che è mio è mio”. No, amici lettori, non si tratta di uno scherzo: anche perché di mezzo c’è scappata una tragedia, come vedremo tra poco. Ma ciò che colpisce è questa naturale attitudine alla doppiezza, alla verità ribaltata a seconda del fatto che sia in gioco un bene proprio (e allora anche per i militanti di sinistra la proprietà privata diventa improvvisamente sacra) o un bene altrui (di un altro privato oppure della collettività: e allora per i compagni possono tranquillamente applicarsi metodi da esproprio proletario).
La prima tristissima storia ci porta in provincia di Treviso. Ve ne avevamo già parlato ieri: un 53enne italiano, impiegato in una ditta di sfilettatura di pesce, era stato cacciato di casa e – poverino – non riusciva più a permettersi una locazione degna di questo nome. Morale: è finito mestamente in un garage senza chiedere aiuto a nessuno, e lì ha trovato una morte solitaria, forse per infarto (...)
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La Postina con Zanellato diventa Dotta
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