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Gli insulti di Carlo Calenda a chi non la pensa come lui

Francesco Storace
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i chiama Carlo Calenda e crede di essere “io so’ io” e gli altri si sa come li giudica. Dopo Renzi, Gelmini, Carfagna (per stare alle più celebri delle sue litigate temerarie) è toccato anche a me incorrere nel suo linguaggio altolocato. L’altra sera a DiMartedì da Giovanni Floris, dove vado spesso a giocare in trasferta le mie partite e il più delle volte in inferiorità numerica, mi sono beccato del “bulletto fascista” solo per avergli posto questioni che un giornalista non deve mai farsi sfuggire. Meglio è andata a Italo Bocchino che da Elisabetta Piccolotti si è preso l’invito a non dire “scemenze” da un’autentica nobildonna. Provate a immaginare la scena a parti invertite: chi fa domande di sinistra e di fronte chi deve rispondere di destra, con relativi insulti.

Sarebbe insorto malamente il cronistume rosso, la federazione della stampa avrebbe chiamato i carabinieri, l’ordine dei giornalisti avrebbe processato per direttissima i reprobi. Sono quelli che ogni giorno fanno lezione alla destra sulla classe dirigente, mentre quella che mette in campo l’opposizione può comportarsi in maniera tranquillamente coatta e pensare di farla franca. E invece no. Perché si chiama razzismo contro chi non la pensa come loro. Ed è indecente solo pensare di potersi comportare da impuniti. Anche perché Calenda è abituato al suo ruolo di moderato più buffo che bullo e pensa - se pensa - di poter menare chiunque.

 

 

Il dibattito era partito da uno dei suoi soliti palloni lanciati contro Salvini sulla squadra di governo di Trump in America. È bastato permettermi di ricordargli anche un’altra delle sue frasi infelici pure contro il ministro Urso («Meloni lo cacci a pedate») e chiedergli che differenza c’è con il linguaggio di Landini sulla «rivolta sociale». Apriti cielo, nervi a fior di pelle - «io critico Landini», ma lo imita contro i bersagli che individua- e poi l’intemerata finale contro il «bulletto fascista». Partigiano in ritardo, senza senso. Ma resta un dubbio sul comportamento di chi ambisce a governare al posto del centrodestra: si comportano così anche nella loro coalizione che non c’è? E se fossero ministri - sia lui che la Piccolotti insulterebbero i cronisti in questa maniera? Bavaglio o bavaglino, impertinenti ragazzini cresciuti male?

Il fallimento da quorum in ogni elezione, dalle europee alle ultime regionali, può spiegare il nervosismo ma certo non lo giustifica. Né la prospettiva di finire fuori dal Parlamento nella prossima legislatura, a meno di raccattare un seggio solo per sé dalla segretaria del Pd, Elly Schlein. Magari gli è arrivata all’orecchio la vocina («ma che ce ne facciamo di questo presuntuoso»?) in voga dalle parti del Nazareno. Se le percentuali elettorali – e quelle dei sondaggi – si assottigliano sempre di più; e se i seggi non scattano neppure alle amministrative, addio sogni di gloria di uno statista immaginario. Basta cliccare su google la voce «cosa prendere per il troppo nervosismo?», e i rimedi sono assicurati: «Passiflora, Biancospino, Tiglio, Melissa, Griffonia ed altre erbe officinali dalle riconosciute proprietà tranquillizzanti, sono rimedi naturali utili per contrastare la sensazione di tensione e irrequietezza che si può provare durante la giornata, infondendo un naturale senso di calma».

Farlo soprattutto prima di andare in tv, perché non tutti hanno la pazienza dei giornalisti di destra. Se poi finisce ad insulti, addio pure ai telespettatori dopo gli elettori. Oppure, basta scusarsi, perché un leader politico – come dicono che sia Calenda – deve saper tenere a posto i nervi. E fare ammenda di fronte ai propri strafalcioni. Pensando di sviare il discorso, il capo di Azione ci ha riprovato, tentando di cavarsela con un rimprovero via X a non ammettere mai, rivolto a me e a Bocchino, quando la destra sbaglia. Come se stare in Parlamento e fare domande o anche riflessioni come giornalisti possa essere considerata la stessa cosa. Ritenta Carletto, sarai più fortunato col prossimo tweet.

 

 

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