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Tommaso Foti, dalla scelta decisiva del 2012 agli occhiali blu: il ritratto del neo-ministro di FdI

Brunella Bolloli
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Gli occhiali con la montatura blu richiamano una delle sue grandi passioni: l’Inter. Dicono sia un tifoso sfegatato e un discreto intenditore di calcio. Ma il vero amore di Tommaso Foti, neo ministro per gli Affari europei, il Sud, le Politiche di Coesione e il Pnrr, è sempre stata la politica. La pratica dall’età di 14 anni, da quando allievo del liceo scientifico Respighi di Piacenza, ha mosso i primi passi nei comitati studenteschi della sua città. Iscritto al Fronte nazionale della Gioventù, l’organizzazione giovanile del Msi, da lì, dalla destra, non si è mai spostato. In poco tempo, infatti, Foti è diventato segretario provinciale, quindi membro dell’Esecutivo nazionale. A soli venti anni è eletto consigliere comunale di Piacenza, confermato in ogni consultazione per il Movimento sociale italiano fino al 2005. Si è candidato alle Regionali nel 1985, senza essere eletto, e due anni dopo ha riprovato con le Politiche, dove è risultato il primo dei non eletti nel suo partito. In corsa, sempre con lo stesso partito, anche nel 1992. Tre anni più tardi, ha aderito alla svolta di Fiuggi con cui Gianfranco Fini ha lanciato Alleanza Nazionale. L’ingresso in Parlamento avviene nel 1996, con la Casa delle Libertà (in quota An), ovviamente nel collegio di Piacenza. Sfida non facile, ma Foti è risultato eletto con il 41,32% contro il 40,97% del suo principale sfidante, il politologo Gianfranco Pasquino, candidato dall’Ulivo.

A dicembre del 2012 la scelta di Giorgia Meloni, Ignazio La Russa e Guido Crosetto di staccarsi dal Pdl per fondare Fratelli d’Italia, non coglie impreparato “Masino” (gli amici lo chiamano così) che aderisce con convinzione alla nuova creatura: viene rieletto in Consiglio regionale in Emilia Romagna e, da lì, comincia la sua nuova scalata politica. Il ritorno in Parlamento avviene nel 2018. Nel 2022 Fdi vince le elezioni e lui varca per la sesta volta il portone d’ingresso della Camera, ottenendo 92.699 voti (52,53%) nel collegio uninominale della sua città. La pattuglia dei parlamentari meloniani è così numerosa che per guidarla ci vuole qualcuno che sappia farsi rispettare e che conosca a fondo le dinamiche del Palazzo. Meloni non ha dubbi: il capogruppo a Montecitorio non può che essere Foti e finora tra i 117 deputati nessun problema. Lui, del resto, di esperienza ne ha: ha 64 annidi cui 50 in politica e nella precedente legislatura era il vice di Francesco Lollobrigida, allora capogruppo di Fdi. Quando chiesero allora a “Lollo” se Foti avesse imparato da lui a fare il capogruppo, il ministro rispose: «Semmai è il contrario, è stato lui a insegnarmi».

 



In verità, nella fase della formazione del governo il nome di Foti era già sul tavolo della presidente del Consiglio. Si pensava a lui per un ministero, ma proprio nel 2022, guarda caso, è spuntato un procedimento giudiziario con l’accusa di corruzione e traffico di influenze illecite. Una circostanza che ha in quel momento cambiato i piani della premier che però ora, per il dopo Fitto, ha estratto dal cilindro il nome del fedelissimo, anche perché l’inchiesta a suo carico è stata archiviata. Il neo ministro ieri ha ringraziato sia Meloni che Sergio Mattarella: «Vivrò questa nuova esperienza ispirato come sempre dalla difesa degli interessi dell’Italia». Di Foti, del resto, parlano tutti bene. Anche se quando si arrabbia, dicono, diventi un leone. Con i colleghi del Pd, soprattutto con la sua “omologa” alla Camera, Chiara Braga, c’è stima.

Messaggi di congratulazioni sono arrivati in primis dai due vicepremier Salvini e Tajani, solo qualche nota stonata dei Cinquestelle. Di recente pure il sindaco di Milano, Beppe Sala, ha espresso apprezzamento nei confronti del meloniano Foti per come è stato gestito il SalvaMilano. Meloni ha parlato di lui come una «delle migliori risorse», e non ha perso tempo: con la partenza di Fitto per l’Ue, ha subito nominato il fedelissimo che assume tutte le deleghe, altro che spacchettamento. Il neoministro sa di avere di fronte a sé un compito difficile, ma non è uno che si lascia spaventare dal lavoro da fare: a Roma abita praticamente di fronte a Montecitorio e questo la dice lunga sulla sua dedizione alla politica. Nei weekend, poi, torna sempre nella sua Piacenza per fare attività sul territorio e alle ultime elezioni in Emilia Romagna, che hanno visto la vittoria del Pd Michele De Pascale (che ieri si è congratulato con lui), la provincia piacentina si è confermata l’unica di centrodestra della Regione, peraltro con Fdi primo partito. Qualche invidioso ha provato a ironizzare sull’inglese di Foti (che invece lo parla) e sul fatto che al ministero del Sud è stato nominato un emiliano-romagnolo, un figlio della pianura padana. Ma sono chiacchiere che alla maggioranza poco interessano.

Ora la partita è perla successione di Galeazzo Bignami al ministero dei Trasporti. Oggi, infatti, l’assemblea dei deputati di Fdi voterà il bolognese Bignami, attuale viceministro del Mit, a capogruppo alla Camera al posto di Foti. C’è dunque una nuova casella scoperta, dopo l’addio di Augusta Montaruli, che era sottosegretaria all’Università e ricerca, e quello di Vittorio Sgarbi, che si è dimesso a febbraio da sottosegretario alla Cultura. Foti, osservano nella maggioranza, è emiliano e ha preso il posto del pugliese Fitto. Potrebbe quindi essere necessario un riequilibrio “geografico” della squadra di governo. E i nomi che circolano sono quelli di Ylenja Lucaselli, pugliese, e Salvatore Deidda, sardo, e attuale presidente della commissione Trasporti di Montecitorio.

 

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