Francesco Damato: sinistra unita solo contro Giorgia Meloni
All’opposizione, anzi alle opposizioni essendovene più d’una in Italia, va sicuramente riconosciuto il diritto di contrastare il governo e la sua maggioranza, coglierli in fallo, denunciarne errori e incidenti, sollecitarne persino la crisi, peraltro in un Paese come l’Italia. Dove, diversamente dalla Germania, si può cercare di promuovere la sfiducia in Parlamento senza l’obbligo di indicare una nuova maggioranza, solo affidandosi poi alle virtù maieutiche del volenteroso capo di Stato di turno quando non è convinto di dovere ricorrere allo scioglimento anticipato delle Camere. Cioè al loro funerale.
Ma c’è una misura, un limite a tutto. Anche allo spariglio nel gioco dello scopone applicato alla politica. Per quanto -ripeto- non obbligata, o non ancora pur dopo tante modifiche apportate alle Costituzione da quando è nata, a proporsi davvero in alternativa al governo rovesciandolo con uno schieramento in grado davvero di sostituirlo, l’opposizione generosamente al singolare non può sottrarsi alla decenza, largamente superata in questi giorni cavalcando quelle che la premier Giorgia Meloni ha definito «schermaglie». Come le divisioni nella maggioranza verificatesi votando sul canone di abbonamento alla Rai. Il canone, ripeto, non il cannone.
L’opposizione, sempre generosamente al singolare, spara in Italia sul governo mentre nel Parlamento europeo, votando non su una direttiva, ma sulla nuova Commissione esecutiva di Ursula von der Leyen si è sparata addosso dividendosi fra le sue componenti e all’interno di esse.
Si è divisa, per carità, a Strasburgo anche la maggioranza politica italiana col voto contrario della Lega del vice presidente del Consiglio Matteo Salvini e favorevole, invece, degli eurodeputati riferibili ai partiti della Meloni e del vice presidente forzista del Consiglio Antonio Tajani. Ma nell’opposizione c’è stato di più e di peggio, con gli eurodeputati delle ancora 5 Stelle e della sinistra radicale da una parte e quelli del Pd dall’altra, salvo gli “indipendenti” Marco Tarquinio e Cecilia Strada, pur fortemente voluti a Strasburgo dalla segretaria Elly Schlein.
Tarquinio e Strada sono indipendenti, senza virgolette, nel Pd come Giuseppe Conte e amici, i “coriacei” lodati al Nazareno da Goffredo Bettini, si sono appena dichiarati solennemente, anche a costo di rompere con Beppe Grillo e di farsi definire “gesuiti”, nel “campo dei progressisti” in Italia.
Cioè liberi di uscirne e rientrarvi in ogni momento e per qualsiasi ragione, fosse pure per un sopracciò visto e vissuto come un irrinunciabile elemento distintivo, identitario e simili.
Il buon Walter Veltroni, prima di essere restituito felicemente da eventi, presunti compagni e amici di partito e quant’altro al giornalismo e alla cinofilia, riesumò per il Pd a “vocazione maggioritaria” appena fondato e affidato alla sua guida, nel 2007, il governo ombra dell’opposizione, all’inglese. Al Nazareno ora, dopo tanti passaggi di mano, c’è Elly Schlein: quella che si diverte ad arrivare, o si dichiara arrivata, sorprendendo tutti, distratti sprovvedutamente da altre figure o da altri sogni. Provo a immaginare un suo governo ombra e mi viene da ridere più di quanto non avessi sorriso a suo tempo di quello propostosi dal mio amico Walter. Che -ve lo confesso- nelle elezioni politiche del 2008, dopo la prematura fine del secondo governo di Romano Prodi, come del primo dieci anni indietro, avrei anche votato turandomi montanellianamente il naso, e qualcos’altro, se il Pd non avesse preferito apparentarsi con Antonio Di Pietro, con la sua Italia dei valori bollati, piuttosto che con Marco Pannella. Che non ho mai capito bene se più stanco o pentito di avere scommesso su Silvio Berlusconi agli esordi della cosiddetta seconda Repubblica.
Non ho avuto l’occasione di dirlo a Walter in questi 16 anni trascorsi da allora. Glielo scrivo adesso a distanza, da collega giornalista più che da elettore felicemente renitente alla leva di moda degli astensionisti, ormai partecipi del maggiore partito italiano.