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Conte non si illuda: il Grillo cacciato medita vendetta e non starà in silenzio

Gianluigi Paragone
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Ha deciso di non esserci, Beppe Grillo. Ha prevalso la prudenza consigliata dai suoi amici più stretti: «Non andarci, alla fine non è più il tuo Movimento».
E così si è limitato a postare sull’avvenuta trasformazione da francescani a gesuiti, non accorgendosi che un contratto da 300 mila euro è poco francescano, un po’ più gesuita e molto paraculo. Ma tant’è. Eppure quell’altro Beppe Grillo, quello che con Gianroberto Casaleggio si metteva in testa di minare il Palazzo, quello che sconquassava l’informazione italiana e non solo, quello che riempiva le piazze facendo del Vaffa un manifesto populista sempre più contagioso; ecco quel Grillo lì ieri sarebbe andato nella tana del lupo, pur sapendo che il lupo si sarebbe fatto forte del proprio branco. Del resto non faceva così anche quando si incuneava nei fortilizi di Telecom per dare voce ai piccoli azionisti e denunciando giochi e giochini dei vertici? Sarebbe bastato solo esserci, magari senza nemmeno prendere la parola. Quel silenzio sarebbe bastato per rimarcare una presenza, anzi “la” presenza di chi quel Movimento lo ha messo in piedi, fatto camminare, fatto correre. E poi distruggerlo perché quando si entra nei Palazzi ci si addomestica. Come sa bene Giuseppe Conte, la cui rivoluzione oggi si compie, si perfeziona.

Almeno in laboratorio, perché prendere i voti è un’altra cosa. Ed è lì - alla prova elettorale- che vedremo cosa succederà. Avrà avuto ragione Conte a mettersi in una navigazione riformista e progressista, barchetta in un mare dove il Pd si piazza con percentuali pesanti e l’Alleanza Verdi e Sinistra attira i consensi dei giovani e dei più radicali; oppure si compirà la previsione di Gianroberto Casaleggio per cui il Movimento avrebbe dovuto disciogliersi esaurita la propria missione? Vedremo. Di certo Beppe non scomparirà così, non uscirà di scena lasciando a Conte lo scalpo. Chi lo sta frequentando, non nasconde quel che il fu Elevato ha in mente: vendicarsi. Di politico c’è ben poco, c’è solo quel senso di rivalsa e di vendetta proprio dei “padroni” più che dei padri: quella gente l’ha inventata lui e ora non possono pensare di liquidarlo così, come uno straccio vecchio. Dunque? Dunque, farà la propria lista: “Lista Beppe Grillo”. «Il suo nome e la sua faccia valgono 2 per cento», mi dicono alcuni dei suoi più intimi collaboratori. «Tanto basta per togliere acqua e forza a Conte, che a quel punto franerà. Ne stiamo parlando con Virginia».

 

 

Virginia Raggi. «Anche la Appendino potrebbe starci». E Alessandro?, domando. «Lo abbiamo incontrato. Lui con Villarosa. Ma non mi sembra che riusciremo a convincerlo. Semmai dovesse scegliere di tornare in politica, non è detto che lo faccia con a capo Beppe... Del resto Ale è troppo vicino a Travaglio per compiere una scelta così radicale e dannosa per il Movimento». Ricapitolando. Sotto il cielo pentastellato, le costellazioni potrebbero essere almeno due: una di Conte e una di Grillo, in attesa di quel che il “Dibba” potrebbe decidere una volta che la lotta tra le due “primedonne” finirà. A quel punto potrebbe essere lui il federatore di un Movimento nuovamente “pirata” e fuori dal gioco “destra-sinistra”. «Sapessi quanta gente di destra si complimenta con Alessandro per la posizione sulla Palestina...», gongolano gli amici di Ale.

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