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I nostri giudici e la sovranità messa a rischio: l'intervento di Alfredo Mantovano

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Pubblichiamo ampi stralci dell’intervento sul principio di legalità nell’età del costituzionalismo multilivello pronunciato del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano ieri al convegno organizzato dalla Corte dei Conti a Firenze

Vorrei porre una serie di problemi che attengono al rapporto fra principio di legalità e principio democratico, al tempo del costituzionalismo multilivello. Partiamo da un dato che immagino condiviso: l’adesione degli Stati nazionali alle organizzazioni sovranazionali ha permesso l’ingresso nel concetto di “legalità” di molti nuovi parametri normativi. Il principio di legalità, inteso nella sua accezione fondamentale della soggezione dei pubblici poteri alle regole del diritto, presenta almeno due componenti: una guarda al versante dell’effetto della legalità: la certezza del diritto e la prevedibilità della regola, e già qui sorgono problemi; l’altra guarda al versante della fonte della legalità: i pubblici poteri sono vincolati dalla regola in quanto espressione del depositario della sovranità, ossia – come in Italia recita l’articolo 1 della Costituzione – il popolo sovrano. È altrettanto comune la constatazione, nell’epoca del costituzionalismo multilivello, che il secondo versante del principio di legalità sia spesso svilito. Lo svilimento del rapporto fra regola e sovranità popolare ha dei costi, non lievi. Genera incomprensioni fra i vari attori della scena giuridica: pensiamo ai conflitti fra Corte di Giustizia dell’Ue e Corti Costituzionali di alcuni Stati dell’Unione. Un cittadino può chiedersi che senso abbia votare per scegliere i propri rappresentanti al Parlamento, se poi le leggi del Parlamento sono disapplicate da qualche giudice di merito. Che senso abbia, soprattutto, se quella disapplicazione viene percepita come ideologicamente connotata: perché ampiamente annunciata in interventi pubblici svolti talora in contesti politicamente marcati; e perché il riferimento al livello superiore spesso non è neanche una norma del diritto sovranazionale, bensì l’estrapolazione di brani di decisioni emesse da Corti sovranazionali. Ogni riferimento a vicende dei nostri giorni è voluta. Il disorientamento del cittadino è accentuato dalla circostanza che la disapplicazione avviene per settori di materie. Abbiamo visto che per l’immigrazione taluni giudici di merito pretendono di valutare quali Paesi siano sicuri e quali no, a prescindere dall’esito dell’assai complesso procedimento amministrativo previsto dall’ordinamento. Non conosco però giudici che abbiano sollevato analoghe riserve per procedimenti amministrativi dalle cui conclusioni dipendono non già provvedimenti di rimpatri, bensì la condanna a più anni di reclusione: penso per esempio all’iter di aggiornamento delle tabelle degli stupefacenti di cui è vietata la detenzione e la cessione. Il pregio del costituzionalismo multilivello è stato ed è quello di porre argine a potenziali derive cui il principio di sovranità poteva condurre, e purtroppo aveva tragicamente condotto con i totalitarismi del secolo scorso. È per questo che dopo l’ultimo conflitto mondiale, i popoli sovrani hanno condiviso l’introduzione di norme rigide nelle Costituzioni, e quindi hanno fissato regole del gioco valide anche per i successivi rappresentanti dei consociati, e meccanismi per garantirne la prevalenza. Vincolandosi sul piano internazionale, i rappresentati del popolo hanno poi scelto di condividere con altri Stati parte della propria sovranità: anzitutto all’interno dell’Ue. La situazione però desta preoccupazione, almeno sotto due profili. In primo luogo, quanto al rapporto fra giudici e leggi. Nell’epoca del costituzionalismo multilivello qualcuno può dire con serenità che la norma di cui all’articolo 101 della Costituzione. - «I giudici sono soggetti soltanto alla legge» goda di buona salute? L’epoca del costituzionalismo multilivello non giunge a consentire al giudice di attingere direttamente da alti principi per decidere quali applicare nel caso concreto, a prescindere dalla legge nazionale, che ha invece esattamente il compito di fissare quelle regole. La contestazione si è estesa di recente perfino ai profili di attribuzione di competenza, come sta accadendo con la legge di conversione del decreto legge che trasferisce la decisione sulla convalida del trattenimento del migrante irregolare dalla sezione civile del tribunale alla sezione penale della corte di appello: si contesta al legislatore la regolamentazione di quell’ordinamento giudiziario per il quale la Costituzione esige la riserva di legge. Con una manifesta illogicità. Poiché il trattenimento del migrante costituisce una limitazione della sua libertà, vi chiedo: è più coerente col sistema che il provvedimento di convalida competa a una sezione civile di primo grado, ovvero che sia trattato da quel giudice di appello che da sempre convalida gli arresti a fine di estradizione, e che da quasi vent’anni convalida i mandati di arresto europeo? Il secondo profilo di preoccupazione riguarda i rapporti fra il livello nazionale e quello sovranazionale di produzione del diritto. Quando questi due profili problematici si sommano, il rischio di un corto circuito del principio di legalità è forte. Nel valutare i presupposti della disapplicazione spesso non ci si limita ai casi di violazione diretta e immediata del diritto europeo: ci si spinge sempre più avanti. Si creano così zone franche, impermeabili agli interventi del legislatore nazionale. La saggezza e l’equilibrio necessari per affrontare le sfide del costituzionalismo multilivello trovano un punto di riferimento essenziale nella logica del self-restraint e nel rispetto delle competenze di ciascuno degli attori. Anche del Parlamento. Il self-restraint apriva fino a qualche anno fa le trattazioni giuridiche sul diritto europeo. Oggi appare un arnese del passato. Ma è fondamentale per lo sviluppo armonioso del costituzionalismo multilivello. Self-restraint significa attenzione ai limiti delle competenze che i singoli Stati hanno voluto attribuite all’Unione mediante i Trattati. Self-restraint significa, in definitiva, recuperare il valore fondamentale del collegamento fra la norma che deve vincolare i pubblici poteri e la volontà popolare, da cui deriva la forza vincolante della norma.

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