Regionali, dal Veneto alla Puglia: ecco quali sono le prossime 5 date-chiave
Il centrosinistra ha accorciato le distanze. Dopo le vittorie in Emilia-Romagna e Umbria, che si aggiungono a quella di inizio anno in Sardegna, il derby di legislatura delle Regionali è ora 11-3 per il centrodestra, che si è già affermato in Liguria, Piemonte, Lombardia, Lazio, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia-Giulia, Abruzzo, Molise, Basilicata, Calabria e Sicilia. Restano sei sfide, tutte programmate per il 2025. Per trionfare il segreto è sempre lo stesso: ascoltare i territori, evitare di imporre candidature da Roma, non trattare le Regioni come gli Stati del Risiko, dove piazzare la propria bandierina, e sottrarsi alla tentazione di scaricare a livello locale tensioni interne alle coalizioni. I cittadini votano chi deve governarli ogni giorno da buon amministratore, non chi arriva al comizio finale parlando di massimi sistemi. Il candidato, spesso, conta più dello schieramento. Ecco com’è la situazione oggi là dove tra un anno si voterà.
VENETO
Per perdere la Regione, il centrodestra dovrebbe suicidarsi, e forse non basterebbe. Qui nel 2020, il doge Luca Zaia vinse con il 76,8%, lasciando la sinistra, con l’indipendente Arturo Lorenzoni, al 15,7%. Il governatore leghista punta al terzo mandato. Ha rapporti di stima reciproca con Giorgia Meloni e, ottimismo della volontà, confida che il premier, finora contrario a un terzo incarico, farà per lui un’eccezione, spostando le mire di Fratelli d’Italia sulla Lombardia, nel 2027. Il partito però scalpita. Alle Europee in Veneto ha preso il 37,5% e ha fretta di passare all’incasso. Il prescelto, nel caso, sarebbe Luca De Carlo, onorevole e sindaco di Pieve di Cadore. Un anno fa pareva una scelta necessaria, ora meno. Da Vicenza si autopromuove Elena Donazzan, eurodeputata, ma è difficile che Fdi rischi una rottura con la Lega per lei, ex di An passata alla corte della Meloni un po’ troppo tardi, nel 2019. Una cosa è certa: la lista Zaia ci sarà comunque. Se i meloniani insisteranno su un loro candidato, il centrodestra potrebbe spaccarsi. Se non si candiderà il Doge, lo farà per lui il sindaco di Treviso, Mario Conte. E la sinistra? Rischia di perdere anche qualora il centrodestra si spacchi. La pratica è in mano ad Andrea Martella, onorevole veneziano, a cui spetta il compito di trovare un indipendente disposto al martirio.
MARCHE
Il centrodestra ricandiderà il presidente uscente, Francesco Acquaroli, di Fratelli d’Italia, che nel 2020 sconfisse il candidato di sinistra Maurizio Mangiardi (49,1%-37,2%), lasciando i grillini all’8,6%. Il timore è che finisca come in Umbria, perché il governatore cinque anni fa, prese la Regione spinto da una volontà generale di cambiamento ma è poco mediatico e non ha costruito una connessione profonda con i tessuti economici. A suo vantaggio però ha tre cose: non è mai stato lambito da inchieste, ha con sé tutto il centrodestra compatto e sotto il suo governo hanno cambiato colore molte città importanti. Da Ancona ad Ascoli, da Fermo a Macerata, là dove governava la sinistra ora c’è un sindaco di centrodestra o comunque un civico riferibile all’attuale maggioranza. Il nemico peggiore di Acquaroli è Matteo Ricci, l’ex sindaco di Pesaro eletto all’Europarlamento a giugno con il Pd. Lunedì ha salutato la vittoria di Stefania Proietti in Umbria con una foto che lo ritrae insieme a lei e la scritta “Stiamo arrivando”. Si dice che Ricci studi da segretario del Pd e per rafforzarsi vuole battere Acquaroli per poi vantarsi di aver battuto Giorgia Meloni, visto che il governatore è tra i pupilli del premier. Alle Europee ha fatto il pieno di preferenze, unico marchigiano da decenni a riuscire a farsi eleggere a sinistra, facendo accordi con il partito nel Lazio, dove ha preso la metà delle sue 50mila preferenze (il doppio di quelle raccolte da Carlo Ciccioli, di Fdi, il primo nel centrodestra), e riesumando le truppe cammellate nella sua Regione.
TOSCANA
Qui i giochi sembrano fatti. La sinistra ricandiderà il presidente uscente Eugenio Giani, che nel 2020 vinse con il 48,6% contro il 40,2% di Susanna Ceccardi. Unico difetto, per il Pd attuale, è considerato un renziano ma i dem in Toscana non hanno bisogno di Cinque Stelle. Nel Granducato l’ex rottamatore ha un peso che può essere ancora determinante. Alle recenti Comunali di Firenze, la candidata di Italia Viva, Stefania Saccardi, ha raccolto il 7,5%. Renzi ha posto il veto all’entrata di M5S nel campo largo toscano e la sola alternativa a Giani sarebbe il sindaco di Prato, Matteo Biffoni, preferito da Elly Schlein. Sarebbe però autolesionista creare divisioni. Per il centrodestra, la scelta spetta a Fratelli d’Italia, visto che la Lega ci ha provato le ultime due volte. Forza Italia aveva chiesto le primarie, ma la cosa sembra rientrata. Il candidato più probabile è Alessandro Tomasi, da otto anni eccellente sindaco di Pistoia e vicino a Giovanni Donzelli, responsabile organizzativo di Fdi. La sfida è difficile: il centrodestra governa sette province su dieci, ma non le più popolose: Firenze, Prato e Livorno e c’è un sistema di potere da scardinare che richiede un lavorio di lustri.
CAMPANIA
Si dovrebbe votare a ottobre, ma a Napoli scommettono che Vincenzo De Luca farà cadere la giunta prima. Il governatore ha fatto approvare dalla Regione la legge che gli consente il terzo mandato ma ha contro il Pd, che lo sfiderà con un candidato di coalizione. Toccherà al grillino Roberto Fico, perché la Campania è la Regione dove M5S è più forte, forse la sola in cui può risultare decisivo. Più che un governatore di sinistra, De Luca è il vertice di un sistema di potere che ha raccolto consensi ovunque, anche nel centrodestra tanto che nel 2020 vinse con il 69,4% contro il 18% di Stefano Caldoro, il candidato in teoria sostenuto da tutto il centrodestra. Il governatore deve accelerare perché non può permettersi di restare un anno sulla graticola: la magistratura è già al lavoro per fiaccare la sua leadership: ha fedelissimi indagati e arrestati in mezza Regione e deve scongiurare un fuggi-fuggi.
La speranza di vittoria del centrodestra sta nella spaccatura della sinistra, che gli consentirebbe di riprendersi parte del consenso che De Luca gli ha tolto. Per questo, forse, il governo non farà ricorso alla Corte Costituzionale contro la legge regionale per il terzo mandato, come invece spera il Pd. Per la candidatura, c’è un braccio di ferro tra l’eurodeputato forzista Fulvio Martuscello, che si è già fatto avanti, e il sottosegretario agli Esteri di Fdi, Edmondo Cirielli. Qualora però davvero ci sia possibilità di vincere, si paventa la discesa in campo dell’avellinese Matteo Piantedosi. La Campania è sensibile alle candidature istituzionali e l’impegno dell’attuale ministro dell’Interno eviterebbe frizioni nella maggioranza, già in tensione. La Regione è la sola dove il governo non è riuscito a organizzare la festa per i suoi due anni. Alternativa possibile, l’ex presidente di Confindustria, Antonio D’Amato.
PUGLIA
Cinque anni fa Michele Emiliano sconfisse Raffaele Fitto di otto punti (46,7%-38,9%), con il candidato grillino all’11,1%. Oggi a sinistra tutti attendono il ritorno di Antonio Decaro, emigrato a Bruxelles grazie a mezzo milione di preferenze. L’ex sindaco di Bari è stato il più scelto nel Pd, capace di lasciare Elly Schlein trecentomila voti indietro, e non starà appeso alle condizioni dei grillini. Si sono già formate due liste civiche pronte a sostenerlo. E Conte? Nella sua Puglia dovrà decidere se giocare il ruolo dell’alleato inutile nel campo largo o andare da solo incontro a una sconfitta umiliante. Quanto al centrodestra, con Fitto in Europa e il forzista Paolo Sisto aspirante giudice costituzionale, sta a Fdi individuare il nome nella Regione dell’indimenticato Pinuccio Tatarella. Una scelta civica è improbabile. La coalizione la cercò a primavera, per il Comune di Bari, ma non la trovò, vista la difficoltà della sfida, e si sacrificò Fabio Romito, leghista ma già ex forzista e forse ora sulla via del ritorno. L’uomo forte è il sottosegretario alla Salute, Marcello Gemmato, ma contro di lui è già partita l’offensiva mediatica, con insinuazioni di conflitto di interessi. La soluzione allora potrebbe essere Francesco Ventola da Canosa di Puglia. È della BAt, la provincia più popolosa dopo Bar e la più vicina al capoluogo e, con centomila voti personali, è anche lui campione di preferenze. È giovane, ha voglia, è vicino a Fitto ed è consapevole chele consacrazioni spesso passano per delle onorevoli sconfitte.
VALLE D’AOSTA
Qui vige il sistema proporzionale. Il presidente lo nomina il Consiglio Regionale. Cinque anni fa vinse la Lega, guidata da Nicoletta Spelgatti, già presidente della Regione e ora senatrice.
I salviniani, da soli, elessero undici consiglieri, mentre tutto il resto del centrodestra unito nonne mandò in Consiglio neppure uno. Al momento di formare la giunta però, la sinistra si unì con l’Unione Valdotaine e tutte le altre forze autonomiste e partì un valzer di governi e presidenti degno della Prima Repubblica. A settembre, quando si voterà, il centrodestra si presenterà compatto, ma ogni partito avrà la sua lista mentre tutti gli autonomisti sono al momento stati assorbiti dall’Unione Valdotaine. Non è detto però che la situazione non cambi, atteso che questa formazione è ritenuta da molti troppo a sinistra.