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Raffaele Fitto, il Pd si spacca sul vicepresidente: ecco le fazioni

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Elisa Calessi
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C’era da aspettarselo che, prima o poi, il problema sarebbe emerso. E, a dirla tutta, non è la prima volta che nella delegazione dem al Parlamento europeo emergono differenze significative. Era accaduto a fine settembre, quando si era votato sulla risoluzione che toglieva le restrizioni nell’uso delle armi da parte dell’Ucraina.

Accade, questa volta, sul voto a Raffale Fitto come commissario Ue e vicepresidente esecutivo. Il problema è all’origine stessa della delegazione degli europarlamentari del Pd, fatta per la maggior parte di esponenti che fanno riferimento all’area dei cosiddetti riformisti: Dario Nardella, Antonio Decaro, Elisabetta Gualmini, Irene Tinagli, la stessa Lucia Annunziata (indipendente ma certo più vicina alle posizioni dei riformisti), per non dire di Pina Picierno, Giorgio Gori e del deluchiano Lello Topo (l’unico peraltro che siede nella commissione che dovrà votare Fitto e che ha già detto che non gli farà mancare il suo voto). Poi c’è Stefano Bonaccini, teoricamente punto di riferimento dell’area, ma mediatore con la segretaria, che invece è più vicina alle posizioni dei Socialsiti, i quali sarebbero pronti a bocciare Fitto.

Per i riformisti dem, che rappresentano la maggioranza del gruppo, è sempre stato chiaro che Fitto andava votato. Perché è il commissario del nostro Paese, perché è sempre accaduto così (maggioranza e opposizione sostengono per prassi il commissario indicato dal governo) e perché, come ha sottolineato da ultimo il presidente della Repubblica, una vicepresidenza esecutiva sarebbe importante per l’Italia. L’ala più radicale della delegazione, invece, da Marco Tarquinio a Cecilia Strada fino ad Annalisa Corrado, sarebbe pronta a votare contro Fitto e non escluderebbe nemmeno di votare contro l’intera commissione.

 

Paolo Gentiloni, prima di Mattarella, ha fatto capire più volte che non si poteva non votare Fitto, cercando ancora una volta (era già accaduto con il voto sull’Ucraina) di evitare che il gruppo dem scivolasse verso posizioni radicali, estranee a quella che è una forza progressista di governo. Ha provato a dirlo in pubblico e in privato. Il punto, si spiega da Bruxelles, è che, come altre volte, da Roma non sono venute indicazioni chiare. O, peggio, sono arrivati messaggi ambigui: non siamo contro Fitto, ma nemmeno a favore, vedremo. Elly Schlein non vuole rompere con i Socialisti, condivide la rabbia del Pse nei confronti dell’apertura che Von Der Leyen sta facendo verso le destre, dall’altra parte non può nemmeno permettersi di andare contro la chiara indicazione del Quirinale. «I socialisti stanno chiedendo a Ursula Von der Leyen di chiarire qual è la maggioranza che la sostiene» ha dichiarato Schlein. «Su alcune tematiche» ha spiegato, «c’è stato un obiettivo scivolamento a destra», come si è visto col il voto dei popolari insieme alla «destra per affossare un regolamento sulla riforestazione». «La situazione si è molto complicata» ha aggiunto, «è un dibattito che vedremo nei prossimi giorni, bisogna chiarire in che direzione si vuole andare».

Anche Dario Franceschini e Lorenzo Guerini hanno provato in queste settimane a far capire ai piani alti del Nazareno che non si poteva non votare Fitto, che sarebbe stata una scelta stigmatizzata prima di tutto dal Colle (oltre che difficile da spiegare agli italiani). Ma sono stati ragionamenti che non hanno sortito grande successo.

Il risultato è un gran pasticcio che ancora non si sa come andrà a finire. Anche se, a detta di tutti, una soluzione alla fine si troverà e non potrà che essere il sostegno a Fitto. Anche perché il Parlamento europeo dovrà votare sull’intera commissione. Dunque il voto non sarà sul singolo commissario ma su tutti. E cosa farà il Pd? Boccerà l’intera commissione?

«È chiaro che saremo costretti a fare marcia indietro», si dice a Bruxelles nel Pd, trattenendo a stento il malumore per quella che si definisce una gestione sbrindellata, zoppicante, insomma sbagliata. È vero che le parole di Mattarella, si dice, in qualche modo potrebbero essere uno scudo per il Pd, giustificando la scelta alla fine di votare Fitto.

 

Ma il tergiversare di queste settimane, le dichiarazioni discordanti o i silenzi, non possono essere cancellati. Comunque finisca, si dice, l’impressione sarà ancora una volta di un Pd che fa una scelta giusta, ma di malavoglia. Perché altre exit strategy non sembrano esserci, a meno di bocciare l’intera commissione, aprendo una crisi in Europa che, a detta di tutti, sarebbe un suicidio collettivo. Uno scenario che viene considerato un’ipotesi dell’irrealtà. Resta da capire, a questo punto, come uscirne in modo dignitoso e convincente. E non sarà facile.

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