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Donald Trump? Chi sta con il tycoon, per i dem è un "cattivo"

Giovanni Sallusti
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La prima pagina di Repubblica di ieri era un capolavoro involontario, un trattato sociologico implicito sui paradossi della contemporaneità. Che poi si riassumono tutti in uno: il manganello democratico, il razzismo inclusivista, il totalitarismo dei Buoni. Titolone della fotonotizia: «Tutti i cattivi di Trump», a campeggiare sopra una serie di volti scelti da The Donald come membri della sua amministrazione. Subito sotto, nello stesso riquadro, quasi a toccarsi coi ritratti di questa gang a stelle e strisce, una pensosa analisi di Luigi Manconi su «Il linguaggio inquinato», ovvero quello delle destre populiste.

Conclusione del teorema ideologico: Rep. ci intrattiene con un’intemerata del politologo ex-lottacontinuista sulla violenza del vocabolario della politica contemporanea, mentre a pochi centimetri di carta liquida come «cattivi» gli esponenti del prossimo, sgradito governo americano.

Stigmatizzano il «linguaggio inquinato» e nel frattempo lo inquinano al massimo grado, confinando nella malvagità chiunque collabori col Cattivo in Capo, quel Donald Trump che non avrebbe mai dovuto essere presidente, se solo gli elettori americani non si fossero messi in mezzo, tra la pedagogia di Largo Fochetti e la realtà. Non è un prima pagina, è un monumento all’ipocrisia progressista, è un insuperato segno dei tempi, nonché sintomo di una malattia culturale, e merita di essere indagato anche nel suo svolgimento interno.

«La fedeltà e la vendetta. Così Trump sta formando il suo nuovo governo, ma estremismo e incompetenza rischiano di farlo fallire», è il sommario equilibrato che introduce le pagine 2-3, ricalcato su un’enorme foto del profilo del tycoon, tutta ombreggiata: non è un’analisi giornalistica, è la saga del Cavaliere Oscuro. E i membri del altrettante team -Trump paiono reincarnazioni del Joker. A partire dalla domanda sulla nomina più eccellente: «Quale Elon Musk si presenterà a Washington?

L’imprenditore geniale e creativo, oppure l’eccentrico personaggio accusato di instabilità e anche di usare droghe?». Sarebbe fin troppo facile obiettare che il genio contempla per definizione zone d’instabilità, non bisogna far l’errore di prenderli sul serio: non è un servizio, è una mostrificazione collettiva. E allora Tom Homan, lo «zar» anti-immigrazione, diventa «l’uomo dei bambini nelle gabbie», nonostante la pratica di separare i figli dai genitori nel caso di flussi clandestini sia stata inaugurata sotto l’amministrazione Obama.

Con Pete Hegseth, invece, la «destra religiosa» sbarca al Pentagono, e per la tabella valoriale delle anime belle «destra» e «religione» sono due lemmi negativi di per sé, due parolacce in cui si possono riconoscere solo (appunto) i Cattivi. C’è poi il fin troppo prevedibile Kennedy «che ha tradito la famiglia» (la fedeltà ancestrale al clan è un bieco valore reazionario, a meno che la famiglia sia dem). E un climax demoniaco: il «killer» dell’ambiente Lee Zeldin (deputato e avvocato newyorkese colpevole di non condividere le paturnie gretine dell’amministrazione Biden), l’«amica di Putin e Assad» Tulsi Gabbard (ma solo perché Hitler è morto), la «governatrice che ha sparato al suo cane» (Kristi Noem, la cui traiettoria politica e personale da ottima governatrice del South Dakota viene compressa tutta in quell’atto).

Non è il prossimo governo degli Stati Uniti, è un’Armata delle Tenebre. Perché i Buoni(sti) ragionano proprio così, in termini di luce e buio. Nella metacampo illuminata, che è sempre invariabilmente la loro, risplendono la conoscenza infallibile, la morale corretta, la buona politica. Di là, dove si brancola nell’errore concettuale che diventa sempre invariabilmente anche orrore antropologico, ci sono, e non possono che esserci, soltanto umanoidi dannati, marchiati quasi teologicamente (di una «religione» mondana che si traduce nel luogocomunismo Ztl, altrimenti ripiombiamo nella parolaccia) dal Male. È una grottesca forma di kalokagathìa salottiera, autoproclamata in riunione di redazione dai «belli e buoni» che possono, anzi devono, additare in prima pagina i Cattivi. Un meccanismo che Salman Rushdie ha descritto così, anzitutto contro il proprio mondo liberal di provenienza: «Sento che il vecchio apparato della blasfemia, dell’Inquisizione, dell’anatema, tutto questo potrebbe essere sulla via del ritorno sotto forma laica». «Cattivi» è l’anatema finale dell’oscurantismo progressista, ma anche, e per fortuna, la dimostrazione che costoro non hanno più nulla da dire.

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