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Elon Musk? Per andare contro mister Tesla i compagni riesumano anche Karl Marx

Corrado Ocone
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Nadia Urbinati mi è simpatica. Non perché in un’altra epoca geologica ho curato con lei un libro per Laterza, ma soprattutto perché a quello che dice e scrive crede sicuramente. Elemento che, detto con franchezza, non so se sia un’attenuante o un’aggravante.

Fra l’altro, io che la conosco posso dire che è una secchiona, una che studia, si sbatte sui libri. Solo che a leggere quel che scrive non si può non dar ragione a Benedetto Croce, che diffidava dei filosofi politici, i quali, diceva in modo tranchnt, non sono né propriamente filosofi né di politica capiscono granché. Una situazione che peggiora ulteriormente se, come Nadia, ci si è formati nelle anguste sezioni comuniste dell’Emilia e, nonostante la successiva conversione liberal e azionista, quel “richiamo della foresta” ideologico è rimasto forte, mai veramente domato, pronto ad emergere in ogni situazione di crisi. E in verità tale è la situazione attuale determinatasi con la vittoria di Donald Trump nelle elezioni americane. Ma è crisi nel senso positivo ed etimologico del termine, di quel tipo che dovrebbe appassionare i filosofi, cioè come realistica prospettiva di superamento dei paradigmi ideologici e culturali del Novecento e concreta opportunità di correggere un sistema di potere, politico e culturale, che si era fatto negli anni sempre più asfissiante, chiuso, autoreferenziale, e quindi antidemocratico e illiberale.

Chiusa nel suo dottrinarismo, e nelle sue formule e schematismi mentali da “buon democratico”, la povera Urbinati non deve averci capito più nulla. E per tranquillarsi di fronte a un mondo così becero e cattivo che, immemore dei suoi insegnamenti, premia oggi i “barbari” e i “fascisti”, non ha trovato di meglio che avvolgersi nella per lei rassicurante coperta del vecchio Marx. Ieri, ad esempio, in un editoriale di prima pagina de Il Domani, ha rispolverato e tirato fuori dagli angusti anfratti delle librerie niente meno che il 18 Brumaio, l’opera in cui il barbuto di Treviri avrebbe a suo dire previsto tutto: il capitalismo lasciato a sé stesso che domina il mondo per mezzo di politici rozzi e compiacenti e che dissolve le costituzioni e la democrazia per affermare i propri interessi di classe.

Ove il “capitalismo monopolistico globale” sarebbe rappresentato da Elon Musk e il politico suo strumento (anche lui capitalista) sarebbe appunto Trump. Insomma, la studiosa ci suggerisce di applicare le categorie marxiane quasi come esse non avessero fatto una brutta fine e quasi fossimo ancora al tempo delle ferriere e dello sfruttamento inumano del lavoro salariato. Surreale, per non dire ridicolo! Senza considerare che Musk tutto è fuorché un monopolista, avendo anzi aperto una piccola breccia nel mondo oligopolistico del capitalismo woke (che probabilmente a Urbinati piace).

E senza tener conto che è proprio a nome e nell’interesse dei più deboli, cioè dei tanti “dimenticati” a cui la sinistra ha voltato le spalle, che Trump ha conquistato il potere. In un sussulto di sincerità, la Urbinati si sarà poi resa conto che non solo la costituzione (fondata sulla libertà d’espressione) ma anche la democrazia americane non sono state dissolte, ma sono anzi uscite esaltate dalle ultime elezioni. Ella parla perciò di un regime in fieri, solo annunciato, e così introduce la parte finale e più onirica del suo articolo, quella che gli dà il titolo: L’Italia è il perfetto laboratorio della plutocrazia trumpista. La sua “diagnostica”, come la chiama, sarebbe confermata dal fatto che Musk abbia scelto l’Italia per “la sua “prima uscita pubblica”. Siamo o non siamo la patria del fascismo, che come una sorta di “peccato originale” ci porteremo addosso in eterno? E siamo o non siamo “l’anello debole” dell’Europa, per motivi politici ma anche per la nostra congenita “inferiorità morale”?

Anche qui bisognerebbe augurarsi che la Urbinati si svegli presto dal suo sonno dogmatico. Da sveglia, avrebbe finalmente la possibilità di gettare uno sguardo fuori dalla finestra e aggiornare un po’ il suo orologio. Non solo il fascismo è morto più di 70 anni fa, ma l’Italia, in questo momento, è il Paese leader di un’Europa sempre più sgangherata e che titoli per darci lezioni non ne ha proprio. Insomma, piaccia o no, il nostro Paese non è cavia, ma protagonista del cambiamento in corso.

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