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Autonomia, Luca Zaia contro la sinistra: "Hanno manipolato la sentenza"

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Pietro Senaldi
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«W il Doge. Zaia presidente a vita». Nel suo Veneto, che ieri il governatore ha lasciato in auto per raggiungere a Terni i suoi colleghi del centrodestra, radunatisi per sostenere la ricandidatura della leghista Donatella Tesei, in Umbria, dove si vota domani e lunedì, l’autonomia c’è già. Non è ancora legge, ma è nella cultura e nelle anime delle persone. Tanto che non è raro trovare scritte come quelle che aprono questa conversazione, sui muri della Serenissima. «Si va avanti» precisa subito Zaia intercettato tra i militanti umbri nell’ultima tappa della campagna elettorale prima del voto.

«Non lo dico io ma la sentenza della Consulta, che ha stabilito che l’autonomia differenziata è costituzionale e ha riconosciuto il ruolo fondamentale delle Regioni, nel rispetto dell’unità della Repubblica». «Non capisco l’esultanza dei nemici dell’efficienza e della responsabilizzazione delle Regioni e neppure gli analisti che sostengono che io esca sconfitto dal verdetto». «Per me questa decisione è una vittoria» incalza il presidente veneto, lamentando «la manipolazione della sentenza, operata dalla sinistra con interpretazioni non autentiche». «La legge fatta dal ministro Calderoli funziona. Il suo scopo non è mai stato fare venire meno il principio di sussidiarietà né consentire una secessione dei ricchi ma, proprio come chiede il dispositivo della sentenza, migliorare l’efficienza degli apparati pubblici per rispondere più prontamente ai bisogni dei cittadini. Una parte della norma ora deve passare al vaglio del Parlamento? Meglio, così sarà blindata, rafforzata dall’avallo dei deputati, che hanno potere di emendarla, e non solo del governo».

Zaia sfreccia veloce come l’auto che l’ha portato al comizio, dribbla le eccezioni di chi gli ricorda che il passaggio alle Camere è destinato a rallentare i tempi. «Io credo» replica «che dopo questa sentenza a finire male non sarà l’autonomia, ma il referendum per abolirla, visto che con l’intervento del Parlamento non ci saranno più le ragioni per farlo». Ai giuristi che dai giornali progressisti, «io direi centralisti», corregge il Doge, sostengono che la Corte Costituzionale ha fatto a fette la legge Calderoli (Gaetano Azzariti) e che il disegno di legge ora è uno zombie (Michele Ainis), Luca il Serenissimo risponde che non è così. «I lavori sull’autonomia» spiega «possono andare avanti per le nove materie che non prevedono i Lep (livelli essenziali di prestazione), come i giudici di pace, il commercio estero, o la protezione civile, sulla quale in Veneto abbiamo una riunione proprio la prossima settimana. Il buco nel muro è stato fatto, per usare una metafora». «Non mi sorprende» prosegue il governatore «che il giudice abbia ritenuto illegittimo il trasferimento di intere materie: la nostra posizione è sempre stata che l’autonomia differenziata deve basarsi su una definizione puntuale di funzioni amministrative e legislative, nulla di più. «Certo» concede, «forse qualche errore di comunicazione è stato fatto, come l’uso della parola Lep, che ha complicato la comprensione della legge come oggi complica quella della sentenza».

 

 

Il governatore porta avanti la sua battaglia dal 2017, «quando» ricorda «il 98,1% dei veneti votò l’autonomia differenziata, e molti tornarono dall’estero proprio per il referendum. È una volontà popolare netta e legittima che la politica ha il dovere di rispettare». Da allora ci hanno provato in tanti a boicottare l’iniziativa. «Ci impedirono pure di usare le schede elettorali» spiega, «per questo non mi stupisco del clamore e delle interpretazioni strambe suscitate dalla sentenza e tiro dritto, aspettando di leggere le motivazioni. Siamo sulla strada giusta, ora non resta che mantenere il processo saldo sui binari dell’efficienza. Sono contento perché il Veneto sta facendo da apripista per tutti per rendere le Regioni più in grado di rispondere con immediatezza alle esigenze dei cittadini». Il punto negli anni non è mai cambiato. Poiché è stata la Lega a intestarsi per prima i referendum, «si è voluta fare di una battaglia per migliorare i servizi e l’efficienza una disfida politica, quando invece è solo un tentativo di portar fuori l’Italia da una situazione di centralismo medievale, come peraltro ci chiede la Costituzione» puntualizza il governatore. «Un centralismo» aggiunge Zaia «che nei decenni ha prodotto molti danni e tremila miliardi di debito pubblico, con i cittadini spesso costretti a uscire alla propria Regione per curarsi». E non è un caso, rammenta, «che l’autonomia la chiesero pressoché tutte le Regioni».

Il governatore sorvola anche sulle riflessioni degli analisti vicini alla sinistra, secondo i quali a Fratelli d’Italia e Forza Italia non dispiace che l’autonomia sia stata ritenuta in parte anticostituzionale e confida che «in Parlamento i rilievi possano essere superati seguendo le indicazioni dei giudici, come già detto da Calderoli». E qui si torna al tema del referendum come pericolo scampato, visto l’esito incerto che avrebbe potuto affossare la norma. Su questo Zaia non vuole però lasciarsi andare a dichiarazioni politiche. «Noi eravamo pronti al referendum, ma una volta che si cambia la legge, viene meno la fondatezza dei quesiti», ribadisce, aggiungendo che in fondo «la Consulta ha dato una mano all’iter di approvazione della norma». Un’ultima frecciatina ai rivali di sempre però il presidente non la risparmia: «A fine anni Novanta», punge «il centrosinistra, per bloccare l’avanzata della Lega, si inventò la riforma del Titolo V e la chiamò federalismo. L’autonomia differenziata ha lì il suo fondamento costituzionale e quindi chi voleva fermarci adesso finisce vittima del suo progetto».

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