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Perché in Italia è inutile sfilare in reggiseno

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A Bologna è andata in scena l’imitazione del gesto di ribellione della studentessa di Teheran che si è tolta gli abiti, restando in mutande e reggiseno, per protestare contro il regime iraniano e la polizia morale che impone alle donne di essere obbedienti e velate.

Durante il corteo degli studenti mobilitati per il “No Meloni day” dieci ragazze sono rimaste in reggiseno e alcune in mutande accusando il patriarcato «che ci penalizza costantemente per come siamo e come ci esprimiamo, che ci rende oggetti prive di voci, non solo a scuola ma anche in ambito lavorativo e domestico».

Vabbé. Avrebbero potuto giocarsela meglio e spiegare che il loro era un gesto di solidarietà per le ragazze iraniane che lottano per la loro libertà anziché utilizzare una generica formula – il patriarcato – che non ha alcuna aderenza con la realtà italiana e neanche con la realtà delle società occidentali dove il maschio – per dirla col sociologo Luca Ricolfi – reagisce con violenza contro la donna perché incapace di «accettare la sconfitta». Una tesi supportata anche da psichiatri come Paolo Crepet per il quale nelle società avanzate i giovani «non sono preparati all’eventualità» di poter fallire. Non solo, ma da anni leggiamo e scriviamo di padri deboli che non sanno dire di no ai figli. La nostra non è una società patriarcale semmai è una società individualista dove le relazioni si degradano sempre di più (...)

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