"Picchiata da CasaPound". Ma a menare è stata lei
Ma perché raccontare bugie in televisione? E perché rovinarsi un’immagine solo per apparire schierata a sinistra? Chiara Becchimanzi, attrice comica e anche brava, non le faccia queste figure come quella di martedì sera a La7 nella trasmissione di Giovanni Floris.
Si parlava di CasaPound e della manifestazione di Bologna – guai a estorcere una parola di condanna delle botte alla polizia – e la comica è diventata seria. «Io sono stata pure menata da CasaPound, e ho vinto il processo». Una frase che al cronista non poteva sfuggire, non trovando nella memoria, ancora resistente, traccia di botte del movimento della Tartaruga ad un’attrice. Tanto è vero che, proprio in diretta tv, le ho chiesto «un’intervista» perché un episodio del genere non me lo ricordavo proprio.
Ieri mattina mi arriva una telefonata di Luca Marsella, che aveva visto la trasmissione: è il portavoce nazionale di CasaPound, abbastanza arrabbiato con madame, per dirmi: «Ma quale menata, ma quale processo vinto, ma che vuole questa?». Fermi tutti, di che parla?
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Infatti c’è un non detto che equivale ad una bugia in diretta televisiva. Il processo c’è stato ma non era “contro” CasaPound, ma con “CasaPound”. Indagata, imputata e poi condannata, ma prescritta per una rissa. Alla sbarra oltre venti imputati – Becchimanzi compresa – di cui solo sette appartenenti alla vituperata CasaPound. I cui militanti stavano affiggendo manifesti e raggiunti dagli attivisti rossi, hanno reagito. Rissa, non aggressione; botte, non menata. E processo vinto che vuol dire? Che se ti prescrivono te le sei cavata? E fai pure la morale?
Ieri Marsella e i suoi hanno dato della bugiarda alla Becchimanzi e probabilmente la quereleranno: «Ci è giunta notizia che tale Chiara Becchimanzi, forse in cerca di notorietà, ha affermato di essere stata “menata da CasaPound”, con tanto di processo concluso a suo favore. Smentiamo categoricamente quanto affermato dalla signora e procederemo a querela tramite i nostri legali. L’unico processo dove si legge il suo nome, riguarda un’aggressione subita da 7 nostri militanti che, nel 2011 ad Ostia, furono attaccati da 20 attivisti dei centri sociali mentre affiggevano dei manifesti. La stessa Becchimanzi è stata condannata per rissa in primo grado, nel processo poi prescritto», afferma una nota di CasaPound.
Dice Luca Marsella: «Di noi si parla sempre, ma a noi non ci fanno parlare mai». E di questo può approfittare chi dice balle sul loro conto, evidentemente. Nella loro «sede occupata», ha detto l’attrice, «custodiscono i manganelli con cui vanno a menare, anche io sono stata menata». E poi c’è stato un processo? E lei: «Certo il processo si è concluso e avevo ragione io». Ma così non funziona ed è un peccato perché una brava e gradevole attrice si aliena simpatie per militanza politica: con le balle non si va da nessuna parte.
La prescrizione è un istituto di garanzia e un imputato può rinunciarci (io lo feci nel processo per vilipendio a Napolitano e fui assolto in appello). Tra l’altro la pena per la rissa era una sanzione pecuniaria, appena 300 euro, perché non andare avanti in secondo grado? La sentenza è uno spettacolo, racconta nei particolari ogni dettaglio, anche se la Becchimanzi risulta libera ma assente al dibattimento (siamo nel 2018). Tre suoi colleghi di spedizione riportarono lesioni, non lei. Nessuno la sfiorò, stando alla ricostruzione del tribunale di Roma.
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Gli uni e gli altri, si scrive nella sentenza, «per motivi legati all’ostilità politica, si scontravano (...) partecipando ad una rissa». Prevalevano i sette di CasaPound rispetto al gruppone di “compagni”, ma darle o buscarle non ti salva dall’accusa di aver fatto a botte. Poi, testimonianze, verbali di polizia – i fatti si svolsero a Ostia – e tutto quel che serve in un processo servirono ad una sentenza che affermò testualmente: «Le prove acquisite in contraddittorio consentono di pervenire ad un giudizio di piena colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio, di tutti gli imputati». Tranne due che risultarono assenti, ma Becchimanzi compresa. C’era anche una Ford Transit con dentro un po’ di materiale, compreso «un manico di scopa spezzato in due parti».
A chi apparteneva quella vettura? E che dubbi avete: a Chiara Becchimanzi... (verbale di sequestro del 24 febbraio 2018). A chi erano legati i “compagni” che non volevano vedere i manifesti di CasaPound? Al centro sociale Teatro del Lido. Vuoi vedere che in trasmissione la Becchimanzi ha detto quelle cose perché viene finalmente messo in discussione il ruolo di certi centri sociali dove si annidano i violenti? Pure quello frequentato all’epoca da lei e dai suoi compagni?
Nel corso del dibattimento non risultano dichiarazioni dell’attrice in sede processuale. Lei ne ha parlato solo in televisione. La prossima volta, magari, si avvalga della facoltà di non rispondere (o di non dire bugie, magari privilegiando di restare brava come artista).
Becchimanzi-Storace, guarda qui il video di DiMartedì