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Regionali in Umbria? La sinistra si rassegni, San Francesco non è suo

Annalisa Terranova
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I Frati del sacro convento di Assisi hanno smentito la notizia - data dal Corriere- di un appoggio alla candidata del centrosinistra in vista del voto regionale in Umbria di domenica 17 novembre. «Ci fa sorridere», hanno scritto in un comunicato, e hanno ribadito che loro sono aperti ai politici di tutti gli orientamenti e insomma hanno con molto garbo “cestinato” una bufala utile alla propaganda di sinistra in una regione che si appresta al voto. Anche stavolta dunque hanno provato ad arruolare il Poverello d’Assisi ma gli è andata male.

Ennesimo tentativo fallito perché Francesco d’Assisi non è arruolabile sotto nessuna bandiera. Neanche sotto le insegne arcobaleno del pacifismo nostrano: basterebbe su questo punto sottolineare che Francesco non si presentò al Sultano Al Malik (era il 1219) per fare la pace tra cristiani e musulmani ma in quanto testimone della vera fede. Insomma voleva convertirlo al punto che si sarebbe sottomesso a un’ordalia, come riferisce la tradizione agiografica (su cui però gli storici sono scettici).

Non sono meno improbabili i vessilli delle schiere progressiste. Che in modo assai goffo da tempo tentano di strumentalizzare il Santo patrono d’Italia. Lo scorso Natale, ad esempio, quelli +Europa hanno fatto gli auguri social con il presepe arcobaleno (due Madonne e il Bambino, due San Giuseppe e il Bambino) e con una scritta che fa scempio della tradizione inaugurata proprio da Francesco a Greccio nel 1223: «Il bello delle tradizioni è che possono cambiare». Ma quando mai? È vero il contrario: le tradizioni sono tali perché resistono sempre uguali all’usura del tempo. Ma se uno non ci arriva, amen.

Accadde anche di peggio durante il dibattito sulla legge Zan. Il quotidiano La Stampa andò a cercare la regista Liliana Cavani per farle dire: «Il mio Francesco sta con Zan». Improbabile e anche un po’ ridicolo. Ma il tentativo di trasformare Francesco in un testimonial Lgbtq+ ci fu eccome. «In tutto il mio cinema – disse Cavani - e per tutti questi anni ho raccontato la tolleranza, la libertà di pensiero, i delitti che avvengono quando si prevaricano gli altri. Il mio Francesco (anzi i miei “Franceschi”, visto che per tre volte ho raccontato il poverello di Assisi) sono l’emblema di quanto fede e tolleranza possano e debbano coesistere». Liliana Cavani è stata tra coloro che più hanno manipolato con liberissima interpretazione la figura del Santo di Assisi, facendone addirittura un precursore del secolo dei Lumi.
Da ultimo anche i grillini si sono appropriati di Francesco. Beppe Grillo lo indicò come l’ispiratore del progetto 5Stelle di “abolizione” della povertà.

Marciando su Assisi, la città-santuario del Poverello, il fondatore del Movimento, in vesti pauperistiche medievaleggianti, sembrò un fra’ Dolcino resuscitato. Il vendicatore dei poveracci che, col reddito, avrebbero riacquisito il diritto a vivere. Sappiamo come è andata finire: un disastro Del resto c’è un’irresistibile tendenza, dalle parti della sinistra, a strumentalizzare il pauperismo di San Francesco. Dacia Maraini nel 2013 col suo libro Chiara di Assisi trasformò la fondatrice delle clarisse in una protofemminista addirittura accostabile all’icona Olympe de Gouges, che ebbe parte attiva nella Rivoluzione francese nel sostenere l’uguaglianza di genere.

Dacia Maraini così si beava della sua appropriazione indebita: «Il pensiero di Santa Chiara è talmente radicale che va al di là della religione: mette in discussione la proprietà privata, la famiglia, la gerarchia, il potere maschile. È veramente rivoluzionaria». Che dire: il medioevo che piace alla sinistra è quello che non è mai esistito. Tuttavia è verissimo che il francescanesimo fu fortemente rivoluzionario ma nel senso che operò una trasformazione radicale della spiritualità dell’epoca attraverso una nuova sensibilità cristocentrica. Ideologizzare quei fermenti è un errore prospettico che nessuno storico commetterebbe e forse neanche un propagandista di buon livello.

Questo per dire che fare di questi personaggi storici, fuori dalla dimensione religiosa in cui operarono, dei paladini di valori cari alla sinistra come l’uguaglianza, la povertà, la critica alle rigide regole del familismo medievale rappresenta un rischio grande, quello cioè di farli diventare “caricature” rispetto a ciò che furono in realtà.

Tornano in mente le lezioni del compianto Raoul Manselli che spiegava ai suoi studenti alla Sapienza quanto fosse medievale Francesco d’Assisi nel suo volere a tutti i costi che il papa approvasse la sua Regola al fine di distinguersi dai movimenti ereticali del XIII secolo. E affiorano alla memoria anche le interpretazioni di grandi storici come Gerges Duby e Franco Cardini su Francesco visto come miles Christi. Francesco illuminista? No, piuttosto cavaliere di Madonna Povertà, perfettamente inserito nel contesto del suo tempo, forse persino cultore della leggenda del Graal. In questo senso Francesco, alter Christus per eccellenza, non è dissimile dal puro di cuore Galahad né dal “puro folle” Perceval. Il suo percorso iniziatico, cominciato col bacio del lebbroso, termina nella chiesa diroccata di San Damiano in cui Francesco dialoga con il Crocifisso e comprende che la via da seguire è quella cristocentrica. Anche un altro storico, Giovanni Miccoli, ha rilevato come le aspirazioni giovanili di Francesco alla vita cavalleresca, riemergano nel suo linguaggio e anche nella sua attitudine a predicare in modo gioioso e ilare. Dunque, non accostiamo il Santo di Assisi a Voltaire, quando è semmai un testimone dell’anima cortese che diede luce al secolo in cui visse e operò.

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