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Vincenzo De Luca, schiaffo a Schlein: "Corro anche senza il partito"

Pietro Senaldi
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Avviso ai naviganti. In Campania si stanno vivendo i momenti più intensi dello scontro tra il due volte governatore della Regione e la segretaria del Pd, Elly Schlein, che si presentò dichiarando guerra ai cacicchi meridionali come prima mossa.

L’anno prossimo si vota per eleggere il nuovo presidente e De Luca scalpita per ricandidarsi. Il Pd si oppone, sostenendo che non c’è nulla di personale ma bisogna rispettare la normativa nazionale, la quale vieta a tutti i governatori il terzo mandato. Lo sceriffo, questo il soprannome che don Vincenzo si è guadagnato negli anni, non è tipo da demordere e sta preparando un numero da magliaro: vuol far recepire dalla propria giunta la norma nazionale che fissa a un massimo di due i mandati presidenziali.

È proprio quella che Elly gli mette davanti per negargli la ricandidatura, ma il trucco dell’introduzione nell’impianto normativo regionale di una legge dello Stato consentirebbe al cacicco, a suoi dire, di far ripartire il conto da zero nel 2025 e ripresentarsi non solo l’anno prossimo ma anche nel 2030, mantenendosi alla guida della Campania a fino a novant’anni.

 

SCENARI FUTURIBILI
Su questo si sono accapigliati ieri gli uomini di De Luca e quelli di Schlein nella seduta della commissione Campania. Naturalmente lo sceriffo si è voluto imporre di forza, malgrado il Pd gli abbia fatto capire che, in cambio di una rinuncia, sarebbe pronto a concedergli di indicare lui il proprio erede. Niente da fare. La commissione, a maggioranza composta da uomini del governatore, alla fine ha dato via libera alla norma che spiana la strada al terzo mandato e che martedì prossimo passa in Consiglio Regionale. Quanto al Pd, è battuto in ritirata strategica. Dei tre uomini che poteva schierare, due non si sono neppure presentati, mentre il terzo, il carneade Mortarula si è messo in scia al carro del governatore.

Cronaca spicciola a parte, cosa accadrà ora? Lo scenario più probabile è che nelle prossime ore qualche pezzo grosso del Pd dichiarerà che il partito toglierà il simbolo al governatore e non lo appoggerà in caso di candidatura. Lo sceriffo farà spallucce tirerà dritto, ricandidandosi. A quel punto i dem gli presenteranno contro un aspirante presidente, probabilmente il grillino Roberto Fico, per non sfidare direttamente un proprio tesserato e ottenere l’appoggio di M5S in Puglia, dove si voterà contestualmente con Antonio Decaro candidato di ritorno da Bruxelles.

Nella miglior tradizione della casa, i dem non affideranno la loro sorte solo al voto popolare ma lanceranno un SoS alla magistratura. Gli uffici legislativi del partito stanno già preparando un ricorso per rendere nulla la legge regionale in divenire. Santa Corte Costituzionale, rifugio e ultima spiaggia di ogni segretario dem.

Dall’altra parte, il centrodestra infierisce, spera nella spaccatura, sottolinea come ci sia «un Pd romano che vota contro il terzo mandato e un Pd campano che invece lo appoggia», e incrocia le dita, visto che la sfida tra De Luca e i dem sarebbe il solo modo perla maggioranza di governo di riconquistare la Regione. Perle candidature si fanno i nomi del ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, che è avellinese, dell’ex presidente di Confindustria, Antonio D’Amato e, meno probabili dei politici Edmondo Cirielli (Fdi) e Fulvio Martuscello (Fi), nell’ordine.

Si impone un traduttore per interpretare le dinamiche politiche campane, molto diverse dalle nazionali. Nell’ex regno angioino, la contrapposizione destra-sinistra è stata azzerata dalla figura dello sceriffo, che alle ultime Regionali ottenne il 70% di preferenze, contro il 18% e il 5% raccolti dai campioni del centrodestra e di M5S, dei quali non facciamo i nomi perché tutti hanno diritto a una seconda chance.

 

IL PD CAMPANO NON ESISTE
Questo record non è dovuto al Pd, come ha voluto rendere inequivocabile lo stesso De Luca, intitolando “Nonostante il Pd” il suo libro agiografico. I dem furono il primo partito, con il 17%, ma lo sceriffo si fece sostenere da quindici liste (c’era pure quella di Clemente Mastella) e quelle a lui direttamente riferibili raccolsero circa il 40% delle preferenze. Il controllo del territorio da parte del governatore è tale che, l’ultima volta nella sua Salerno, riuscì a non far presentare la lista ai dem.

In sostanza, in Campania il Pd non esiste, se non a Napoli, dove conta qualche elemento valido. Il partito raccoglie voti nelle consultazioni nazionali, ma sul territorio è De Luca che lo comanda, come ha dimostrato il voto di ieri in commissione. Schlein dovrebbe cacciarlo dal partito, visto che lui si vanta di ignorarne le indicazioni, ma non pare abbia la forza per farlo. E tra due settimane, se la sinistra perderà in Umbria, regione tradizionalmente rossa, e per di più con la formula del campo largo voluta dalla segretaria, per lei le cose potrebbero anche peggiorare. De Luca politicamente è un predatore: sente l’odore del sangue e si avventa sulla preda. A Schlein però a questo punto conviene giocarsi il tutto per tutto e sfidarlo: se lo batte, se ne libera; se perde, si ritrova a non contare nulla in Regione, proprio come sarebbe se lo appoggiasse, visto che lo sceriffo non fa prigionieri neppure tra i partiti che gli portano voti.

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