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Schlein, già al capolinea: il campo largo è morto e le servono nuovi alleati

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«Sono un’aspirante regista. Quello con la politica è un contratto a termine», aveva sussurrato qualche giorno fa Elly Schlein, e quasi nessuno aveva preso sul serio la confessione, trattata come un inciso buttato lì casualmente, se non addirittura come una specie di stravaganza, una bizzarria attribuibile a una personalità lontana dai canoni della politicità integrale. E invece la novità è che – chiamiamolo così – il contratto a tempo determinato potrebbe avere una scadenza assai più ravvicinata del previsto.

Il quadro è presto fatto. È vero che Elly – a uno a uno – ha azzoppato oppure eliminato tutti i pesi massimi del partito, i capicorrente, i vecchi protagonisti del “caminetto” dem. A ben vedere, resistono solo Dario Franceschini sul piano nazionale e Vincenzo De Luca nei territori: tutti gli altri o risultano esiliati a Bruxelles o sono stati variamente depotenziati. Ma a fronte di questa brillante operazione interna, tutto intorno c’è un malinconico deserto. La “spallata” ai danni del governo, sognata dopo la vittoria in Sardegna, è ormai addirittura impensabile. La coalizione non esiste proprio: le componenti centriste sono o fuori (Renzi) o ridotte ai minimi termini (Calenda); mentre i grillini, sui quali la Schlein aveva investito un ingente capitale politico, stanno per scegliere – almeno fino alle politiche – la via di una sempre più marcata autonomia. Poi, nel 2027, un’alleanza sarà inevitabilmente imposta, specie se la legge elettorale sarà rimasta invariata: ma se ne riparlerà tra due anni e mezzo. (...)

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