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Umbria, guerriglia giallorossa: "I nostri candidati nascosti nelle liste"

Elisa Calessi
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Adesso la paura si sposta al Centro. E ha un nome: Umbria. Dopo la batosta ligure, partita come una vittoria in discesa e finita come una sconfitta cocente, nel Pd si guarda con trepidazione alle elezioni regionali in Umbria, che si terranno nel week-end di metà novembre, domenica 17 e lunedì 18 novembre (insieme a quelle per eleggere il presidente dell’Emilia Romagna). Perché le somiglianze, tra Liguria e Umbria, non mancano. Anche qui il centrodestra è uscente (la presidente è Donatella Tesei, Lega), ma, fino a pochi mesi fa, si dava per molto probabile una conquista della regione da parte del centrosinistra, che ha candidato Stefania Proietti, sindaco di Assisi. Altro elemento simile: se in Liguria il M5S ha preteso e ottenuto l’esclusione di Italia Viva, in Umbria i renziani si sono dovuti “nascondere” dentro una lista civica.

Sempre perché il Pd ha voluto assecondare le richieste del M5S, che non voleva essere affiancato da renziani. A porre il problema, puntando i fari su questa ennesima contraddizione, possibile premessa di un’altra disfatta, è stata, ieri, Raffaella Paita, coordinatrice nazionale di Italia Viva: “In Umbria”, ha detto, «i nostri candidati sono stati nascosti in una lista civica. In Emilia Romagna il candidato presidente De Pascale ha invece voluto la nostra presenza nella lista del presidente quindi faremo una partita a viso aperto. Ovviamente ci auguriamo che in entrambe le situazioni vinca il centrosinistra, ma confermo il fatto che dove il centro è più visibile e forte, dove Italia Viva riesce a portare il valore aggiunto di un voto moderato, le vittorie sono più semplici».

Per quel che riguarda la Liguria, ha detto, «penso che il mancato accordo con i riformisti, con IV, il veto messo ai riformisti da M5S e poi accettato dal candidato Orlando sia stato un errore fatale, è del tutto evidente che in Liguria e in tutto il Paese senza una componente riformista seria non c’è possibilità per il centrosinistra di essere competitivo al centrodestra. E in Liguria c’è un’altra conferma, che Azione non è in grado da sola di rappresentare il centro riformatore». «L’unità», spiegava ieri a Fanpage Davide Faraone, deputato di Italia viva, «è indispensabile e senza i riformisti non si vince e si regala alla Meloni la vittoria. Chi non ci stasi tira fuori da solo, non può essere concesso a nessuno il potere di veto», aggiungendo che «con i suoi veti, Conte ha fatto l’ennesimo regalo al centrodestra. Le sue responsabilità sono riconosciute unanimemente».

Ma la riflessione sui veti subìti in Liguria e sulla sudditanza a un M5S che, alla fine dei conti, porta pochissimi voti alla coalizione di centrosinistra, è in atto anche nel Pd. «Serve costruire al più presto “l’alternativa”», diceva ieri Stefano Bonaccini. «Perché essere “contro” questa destra non basta». Più chiaro è stato Matteo Ricci, europarlamentare del Pd, che peraltro appartiene alla stessa area di Andrea Orlando: «Solo proseguendo sulla strada di un centrosinistra unito, fondato su un progetto comune», ha detto ieri, «potremo essere alternativi al governo della destra». Quindi si è detto «sicuro che in Umbria e Emilia Romagna questo nuovo centrosinistra prenderà forma e che vinceremo in quelle due regioni». Roberto Morassut, altro deputato del Pd, propone di indire degli Stati Generali del centrosinistra dopo le elezioni in Umbria e in Emilia Romagna.

 

 

La più diretta, però, è una donna del Pd, Pina Picierno: «È da tempo che parlo dei veti imposti da Giuseppe Conte e della necessità di non assecondarli», ha detto ieri. «In Liguria il Pd ha ottenuto un buon risultato, ma nel complesso c’è un problema dovuto alla coalizione di centrosinistra in quanto manca un’offerta politica riconoscibile dagli elettori. Una coalizione, infatti, non può essere ridotta a una somma algebrica di differenti visioni, altrimenti non si è all’altezza delle sfide che si hanno di fronte. Non dobbiamo concentrarci su formule come “campo stretto” o “campo largo”, ma sulla proposta politica». E, dulcis in fundo, pone un altro problema: «l’abbandono da parte del centrosinistra del ceto medio che», invece, «deve tornare a essere una priorità assoluta». Di lavoro ce n’è. E anche di preoccupazioni.

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